Controvento – Dati e democrazia
Si sente sempre più spesso parlare del problema della proprietà dei dati personali raccolti dai social media e dai motori di ricerca, e dei pericoli che il loro accentramento comporta, sia a livello economico-sociale che politico. Ma per capire la drammaticità della situazione è consigliabile guardare due documentari prodotti da Netflix, The Social Dilemma e The Great Hack. Il primo spiega, attraverso le testimonianze di giovani tecnici, sviluppatori, amministratori, che hanno lavorato ai vertici di Instagram, Facebook, Apple, YouTube, Mozilla, Google, Firefox, Twitter, come ogni singolo utente venga “profilato” attraverso algoritmi sempre più sofisticati, e i profili siano rivenduti alla pubblicità e utilizzati per campagne mirate individualmente. “In tutto ciò che è gratuito la merce siete voi” avverte Tristan Harris, ex design ethicist presso Google.
Non è solo una questione di arricchimento di pochi giganti che valgono trilioni di dollari, più che interi Stati, un accentramento di ricchezza iniquo ottenuto anche grazie all’evasione fiscale legalizzata. Lo scopo delle aziende è di allungare i tempi di utilizzo sulla propria piattaforma, attraverso manipolazioni dell’attenzione che da un lato creano dipendenza, dall’altro finiscono per radicalizzare sempre più la società a scapito del dialogo, del dibattito e della comprensione reciproca. “Non è questo che volevamo” dice Jaron Lanier, considerato l’inventore della realtà virtuale. “Pensavamo di collegare le persone, di allargare la conoscenza, di rendere la società più democratica, di creare un mondo migliore”.
E invece sta succedendo il contrario. Lo spiega con una evidenza allarmante The Great Hack, testimonianza su come dal 2010 molte elezioni, tra cui la Brexit e quella di Trump, siano state manipolate da Alexander Nix, il mefistofelico CEO e mente di Cambridge Analytica. Anche qui, il whistblower è una sua stretta collaboratrice, Brittany Kaiser, pentita e convinta da David Carroll, professore di digital media e sviluppo di App, a collaborare con lui denunciando il sistema di manipolazione elettorale messo in atto da Cambridge Analytica. “Le tracce digitali di ciascuno di noi sono diventate un affare di trilioni di dollari all’anno” sostiene il prof. Carroll nel documentario. “Tutte le mie ricerche sul web, i miei like, le mie corrispondenze, gli spostamenti, gli utilizzi della carta di credito, vengono raccolti in tempo reale e collegati al mio profilo, alle mie emozioni, alle mie preferenze, ai miei trigger emotivi. Ogni profilo, rivenduto alla pubblicità, consente di creare per ciascun utente dei contenuti personalizzati che solo lui vedrà”. Ma questo mercato non interessa solo i consumi. Il documentario spiega come la profilazione abbia permesso di manipolare le elezioni sia a Trinidad e Tobago nel 2010 che in negli Stati Uniti e per la Brexit nel 2016, e in seguito in Lituania, Ghana, Romania. Tanto che Carole Cadwalladr, giornalista investigativa del Guardian e altra protagonista del documentario di Netflix, si chiede in un Ted Talk: ”Sarà ancora possibile avere elezioni libere ed eque?”. E spiega come la tecnica di Cambridge Analytica si concentri nell’identificare e convincere gli incerti influenzabili, i cosiddetti “Persuadables” profilati grazie ai dati raccolti sui social. Solo Facebook ha fornito a Nix i profili di 30 milioni di utenti americani. Le campagne di persuasione, bisogna ammetterlo, sono molte creative. A Trinidad, divisa fra cittadini di origini africane e di origini indiane, la strategia era di convincere i ragazzi neri a non andare a votare (i giovani indiani, culturalmente abituati a obbedire ai genitori, si sarebbero comunque recati alle urne). L’équipe di Nix creò perciò una campagna non politica ma di orgoglio giovanile, chiamata “Do so -fai così”. Simbolo, due pugni neri incrociati, e lo slogan, “fai così, non votare” giocando sull’astensionismo come protesta contro il mondo adulto, con tanto di video, canzoni, balletti diventati virali sui social… Come previsto, i giovani neri non andarono a votare e vinse la candidata indiana. Possiamo ancora parlare di democrazia, di fronte a manipolazioni di questo tipo?
Il documentario svela anche come le vittorie di Brexit e Trump siano collegate, passando attraverso Cambridge Analytica e l’amicizia di Nigel Farange, stratega di Brexis, con Steve Bannon, anima nera di Trump e vicepresidente di Cambridge Analytica. La tattica è la stessa: attingere al numero più alto possibile di profili, identificare gli influenzabili (negli USA concentrando gli sforzi nei 4/5 Stati che fanno la differenza elettorale) e “tartassarli di messaggi individualizzati su ogni possibile piattaforma, pubblicità, social, finché non cominciano a vedere il mondo come vogliamo noi “spiega Brittany Kaiser. Paura degli immigranti, minaccia economica, odio per i diversi, convinzioni religiose, orgoglio nazionalista: a ciascuno il suo pane, ricavato dall’attento lavoro sui profili, il tutto condito, negli Stati Uniti, di una efferata demonizzazione di Hillary Clinton attraverso lo slogan “Defeat crOOked Hillary”, con le due O che formano graficamente un paio di manette. “Come un boomerang, spiega Brittany, prendiamo le informazioni sul profilo di ogni elettore e gliele restituiamo modificate secondo i nostri interessi”.
Come possiamo difenderci da queste manipolazioni che a nostra insaputa influenzano le nostre scelte? “La battaglia per i data rights (i diritti sui dati) è oggi quello che un tempo fu la battaglia per gli human rights (I diritti umani)” sostiene il prof. Carroll.
Ma è una battaglia che difficilmente possiamo combattere individualmente. Per esempio, oggi ogni sito è tenuto a offrirci la scelta dei cookies, ovvero delle informazioni che siamo disposti a concedere (mi chiedo chi abbia pensato di battezzarle “biscottini”: avvelenati?). Avete mai provato a metterla in atto? La sottoscritta ci prova ogni volta, ma non riesco a capire con quali risultati. Premesso che è una gran perdita di tempo, perché la scelta non si effettua una volta per tutte, ma deve essere ripetuta ogniqualvolta entriamo in un sito, succede che aprendo la finestra della personalizzazione, la prima opzione è “Accetta tutto”, preselezionata. Accanto c’è la finestra “Rifiuta tutto”: purtroppo quasi mai ci si può cliccare sopra. Bisogna invece scorrere tutte le opzioni e selezionare quelle desiderate. In fondo compare l’opzione “Salva e continua”, ma, sopra, la casella “Accetta tutto” rimane selezionata, e quindi non capisco se sto salvando le mie preferenze oppure sto accettando tutto! A questo punto la mia difesa è passiva. Ho tolto la localizzazione dal cellulare. Rifiuto di leggere qualsiasi suggerimento, pubblicità, notizia mi arrivi dal web senza che io la abbia cercata. Non uso Facebook e Twitter, tanto meno Tik Tok, e consento l’accesso al mio WhatsApp solo a famigliari e ad amici fidatissimi. E comunque questo non basta perché ogni mia azione lascia traccia e contribuisce alla mia profilazione. Da parte di chi? Non mi è dato sapere.
In realtà il problema dovrebbe essere risolto a monte, per volontà politica: un ente terzo dovrebbe controllare la gestione dei dati, consentendo a ogni utente di gestire le proprie preferenze una volta per tutte. E dovremmo creare un movimento per i Data Rights che ci liberi dallo sfruttamento di pochi colossi trilionari per cui noi utenti siamo il petrolio da estrarre. “Non è il mondo digitale che avevamo sognato con l’avvento del web” sospira Maria Grazia Mattei, fondatrice e presidente di MEET, il centro di cultura digitale sostenuto da Fondazione Cariplo che si inaugurerà a Milano il 31 ottobre. “Ma sono fiduciosa che impegnandoci per alzarne la consapevolezza delle persone potremo riuscire a cambiare lo scenario.”
Viviana Kasam