Sicurezza e libertà,
la difficile armonia
Tempi di Covid, tempi di limitazioni. C’è una questione delle questioni, tra le tante oggi in discussione mentre il virus riprende a diffondersi in modo massiccio: sin dove può spingersi la concentrazione straordinaria dei poteri nelle mani dei governi in situazioni di emergenza come quella attuale, quando per proteggere la popolazione dal contagio pandemico occorre prendere decisioni drastiche, talvolta lesive della privacy e della libertà individuale? E a monte: poiché i poteri straordinari che l’esecutivo assume in queste circostanze alterano sensibilmente gli equilibri politici stabiliti dalla Costituzione, dove risiede il limite di tali eccezioni? Fino a che punto e sino a quando la struttura democratica dello Stato è in grado di sopportare simili cambiamenti e addirittura sovvertimenti senza perdere o snaturare il proprio carattere?
Porsi questi interrogativi non significa lanciare allarmi apocalittici di colpo di stato o denunciare la trasformazione della democrazia italiana in dittatura, ma solo ragionare costruttivamente sui limiti dell’eccezione. Sappiamo tutti benissimo quanto sia indispensabile, nelle difficoltà attuali e di fronte a un comune e sfuggente nemico in espansione quale il Covid-19, prendere in tempi rapidi decisioni dure e generalizzate. Ma è oltremodo pericoloso farlo senza regole condivise, navigando a vista sull’onda della minaccia incombente e fidando solo sul buon senso, sulla saggezza e sulla indubitabile buona fede di chi governa.
Oltretutto, la perdita di equilibrio tra i vertici istituzionali dello Stato generata dalla condizione di emergenza si riproduce a livelli locali nel dualismo emergente e sempre più evidente tra potere esecutivo centrale e poteri regionali: spesso a buon diritto i governatori rivendicano una priorità nell’ambito di scelte che investono in primo piano la loro competenza istituzionale e il loro territorio (le cui esigenze certo conoscono e valutano da vicino); d’altra parte, come si può accettare che decisioni maturate dal governo a livello nazionale non abbiano valore per tutto il Paese e siano così sovente messe in discussione dalle autorità locali?
Ecco perché mi pare necessario che un organismo superiore, non espressione del governo (perché non lo stesso Parlamento o un’apposita commissione parlamentare?) stabilisca in proposito dei principi guida, ispirati direttamente al dettato costituzionale.
Non dico cose nuove e non rivendico chissà quale lungimiranza. Con terminologia giuridicamente più adeguata rispetto a quella di un insegnante di storia e filosofia, Michele Ainis proponeva pochi giorni fa concetti analoghi (Il confine fragile tra potere e libertà, “La Repubblica”, 14 ottobre 2020).
Occorreva pensarci prima del Covid, si dirà. Ma il “prima” della catastrofe-pandemia, che ha colto tutto il mondo impreparato, non era ipotizzabile a tempo debito, cioè un anno fa. Se esiste la volontà politica di provvedere, anche in medias res è possibile intervenire per porre rimedio a una grave mancanza strutturale. O è più comodo proseguire sulla scia delle esigenze del momento e sull’onda della continua inevitabile polemica?
David Sorani
(20 ottobre 2020)