Alla corte di Ruth

Milano, serata grigia, atmosfera da pre-coprifuoco, persone che già si ritirano, timorose e tristi, inasprendo il già duro decreto con le loro stesse paure. Entro al Teatro Franco Parenti e tiro un sospiro di sollievo: qua è tutto diverso. La sala da 500 posti ne ha moltissimi vuoti, ma tutto è fatto con grazia, con arte, con cura. Piccole luci poste su tavolini separano le sedie degli spettatori, piccole luci a forma di libro aperto che le maschere mascherinate passano e chiudono uno per uno con gesti delicati. Inizia la serata dedicata a Ruth Bader Ginsburg, seconda donna ad essere nominata giudice della Corte suprema degli USA, diventata icona quasi pop, anzi rap, con il nome Notorious RBG. Andrée Ruth Shammah, direttrice del teatro, introduce la serata, che è anche la prima di una serie dedicata dal teatro a “grandi personaggi femminili che hanno migliorato in maniera significativa il nostro modo di vivere e di pensare”. Andrèe racconta al pubblico di aver iniziato a tenere una sorta di ideale “agendina” che si riempirà via via di nomi di donne da invitare a parlare e intervenire in ogni occasione, in risposta a tutti quelli che dicono: “questo panel (o evento, o concerto) è tutto di uomini perché non abbiamo trovato donne da invitare”. #Boycottmanels (l’hashtag nato per portare l’attenzione delle persone sulla disparità di genere negli eventi pubblici) è infatti fra i collaboratori alla serata.
Ilaria Li Vigni, avvocata penalista, studiosa di politiche di genere, racconta in breve la commuovente parabola del giudice Ginsburg, dall’infanzia e gioventù trascorse nella Brooklyn degli anni ’30 e ’40, figlia di immigrati ebrei di Odessa, poveri, ma con lo studio sempre al centro dei propri pensieri, fino all’arrivo all’Università di Harvard, una di nove donne su cinquecento studenti iscritti al primo anno di Giurisprudenza. Anni ’50: le nove donne vengono invitate dal Rettore a rispondere alla domanda “perché state occupando il posto che dovrebbe essere di un uomo?”; l’accesso ad alcune delle biblioteche dell’Università è precluso alle studentesse, che non possono consultare documenti necessari alle loro ricerche. Ruth ha la fortuna di incontrare già al college l’uomo della sua vita, Marty Ginsburg, che diventerà avvocato fiscalista di enorme successo e la seguirà e sosterrà ovunque.
Gabriele Nissim, presidente di Gariwo, la foresta dei Giusti, ricorda come il giudice avesse affisse delle mezuzot, il rotolo di pergamena con versi della Torah, alle porte della corte suprema, come il suo motto fosse il biblico “tzedek, tzedek tirdof”, “giustizia, giustizia perseguirai”, giustizia che deve essere realizzata da noi tutti in terra, qui e ora, perché non sappiamo che cosa sarà nel mondo a venire, ed è nostro compito quindi occuparcene qui e ora, con le nostre capacità, senza demandare né rimandare. Il tikkun olam, il “raddrizzare il mondo”, sta a noi, con gentilezza e dialogicamente, sempre. Baden Ginsburg, che per tutta la vita si è battuta contro le discriminazioni di genere, razziali e in generale per una società inclusiva e giusta, ha cominciato da ragazzina a domandarsi perché le donne nella sua sinagoga di Brooklyn non dovessero contare per il minyan, il quorum di preghiera che secondo l’ebraismo ortodosso è costituito da dieci uomini e a cercare di dare una voce alle donne, sempre. Fra le sue battaglie anche quella perché a un uomo venisse riconosciuta l’indennità economica per essersi preso cura del figlio, rimasto orfano di madre alla nascita, o perché un altro uomo avesse tutelato a livello previdenziale il diritto di occuparsi della madre anziana, diritto fino ad allora riconosciuto solo alle donne. Abbattere gli stereotipi e le vecchie distinzioni di genere nella loro manifestazione giuridica, cambiare la mentalità delle persone, battaglia dopo battaglia e sentenza dopo sentenza: questa è stata la vita di Ruth Bader Ginsburg. Il film Alla corte di Ruth, (USA 2018), scritto e diretto da due donne, Julie Cohen e Betsy West, si apre con l’ironica immagine delle statue attorno alla Corte suprema di Washington, tutte di uomini, che parlano di Ruth lamentandone la forza, la quasi demoniaca capacità oratoria, il carisma. Le due Ruth della serata mi fanno tornare a casa decisamente più serena e fiduciosa di come ne ero uscita.

Miriam Camerini