Ticketless – La zucca barucca
Da ieri siamo più soli. È morto a Roma Aldo Zargani, l’indimenticabile autore di Per violino solo (1995, Il Mulino). Gli si farebbe torto se s’inserisse quel libro nella fluviale e non sempre memorabile memorialistica italiana sulla Shoah dell’ultimo trentennio. Zargani ha scritto tante altre cose, ma quando ha composto quelle pagine si può dire che fosse in una specie di stato di grazia. Per violino solo è uno dei doni più alti che l’ebraismo italiano ha saputo offrire alla cultura italiana. Ce ne siamo dimenticati troppo presto e nella solitudine degli ultimi anni, di questo isolamento, Zargani ha sofferto: s’è sentito dimenticato a vantaggio di autori che nemmeno da lontano hanno saputo raggiungere le vette di quella scrittura ironica, tagliente, di quel modo obliquo di narrare i guai passati. “Non mi è stato lieve descrivere il lutto: sui tempi lunghi sembra che solo l’umorismo e i culti riescano a sopravvivere, mentre il ricordo si spegne con la vita delle persone che lo hanno portato con sé”. Zargani è stato il portavoce di un ebraismo umile. Non discendeva da nessuna famiglia che conti, non aveva rapporti con l’establishment. Per violino solo ha dato voce alla rabbia di chi nell’infanzia ha dovuto ricorrere alla zedakàh della peggiore borghesia ebraica: per questo, forse, è stato dimenticato quasi subito. I palati sopraffini e un po’ snob male digerirono la sua livornesità. “Non è un granché” la zucca barucca che Zargani scelse come metafora del suo scrivere. Si sbagliava, quel suo libro è una Cucurbitacea Benedetta. Assaporarla con il cucchiaino, capitolo dopo capitolo , è una delizia.
L’umorismo e la preghiera ci aiuteranno a elaborare questo lutto sui tempi lunghi. Lo faremo tutti ridendo, “sganasciandoci” come scrive lui quando ricorda che il 25 aprile ridevano tutti, si sganasciavano pure le bocche di leone. Ai suoi detrattori, a chi lo ha snobbato non ci rimane altro che rinfacciare quel proverbio livornese che gli piaceva tanto: “Ai chamorim (asini) non piacciono i confetti”.
Alberto Cavaglion