La Francia contro
la minaccia islamista
La barbara uccisione, avvenuta con il rituale della decapitazione, di un insegnante francese – Samuel Paty – che avevo ritenuto possibile, in una scuola della Repubblica, parlare di libertà di espressione facendo l’esempio delle vignette su Maometto, impone di fare chiarezza su quali possono e devono essere i nostri rapporti con l’Islam, con una cultura che, se non può essere interamente identificata con simili atti di barbarie, tuttavia, attraverso l’applicazione della shari’a, li prevede e li giustifica.
Non si può ignorare che un simile episodio sia avvenuto in un momento storico nel quale i rapporti tra Israele e una serie di Stati islamici si sta modificando e si sta imponendo non solo la legittimità della presenza dello Stato ebraico in Medio Oriente – una legittimità che era stata finora negata – ma ci si è incamminati anche sulla via di considerare legittima la presenza di comunità ebraiche all’interno di Stati islamici. Se un principio di tolleranza comincia ad affacciarsi nel cuore stesso del mondo islamico è assolutamente inaccettabile che questo principio sia messo in discussione all’interno del mondo occidentale e in particolare in Europa.
Si sono affermate nel tempo confuse teorie basate sull’idea di multiculturalismo, secondo le quali ogni comunità ha il diritto di applicare al proprio interno le proprie norme etiche e di comportamento anche se in contrasto con quelle degli Stati sul cui territorio sono stanziate. E’ avvenuto così che, più o meno tacitamente, la shari’a abbia avuto valore di legge in aree urbane di alcuni Stati europei, in particolare in Gran Bretagna, in Belgio, in Svezia. La Francia è uno dei Paesi più esposti a questo rischio, sia per l’alta percentuale di cittadini di religione islamica, sia per la tradizione di accoglienza che ha sempre caratterizzato questo Paese. L’episodio della decapitazione di Samuel Paty costituisce un campanello d’allarme che non può essere ignorato: all’interno dell’Islam europeo ci sono componenti decise ad applicare la shari’a fino alle sue ultime conseguenze. Come ha detto l’ex primo ministro francese Manuel Valls, “nelle nostre classi migliaia di ragazzi pensano che le leggi della shari’a debbano prevalere su quelle della Repubblica”. È perciò non solo legittimo ma necessario considerare le comunità islamiche luoghi a rischio dove è tutto da verificare il tasso di accettazione dei valori e delle leggi che i Paesi europei hanno costruito faticosamente nel corso dei secoli.
Finora – nonostante i tanti episodi di terrorismo che si sono verificati sul territorio europeo – ci si è limitati a colpire, quando questo è stato possibile, gli autori materiali e, in qualche caso, i mandanti. Ma l’episodio della decapitazione di Samuel Paty sembra indicare la necessità di seguire un’altra strada: quella di cercare di individuare preliminarmente – e quindi di colpire – le radici dell’ideologia islamista, di sottoporre a controllo le scuole coraniche e tutti i luoghi di aggregazione islamica. Nessun ordinamento giuridico – per quanto ispirato a principi liberali – può, più o meno tacitamente, prendere in considerazione la possibilità della propria distruzione.
Dice ancora Valls: “È il momento di sradicare l’islamismo. Dobbiamo farlo, strada per strada. E associazione per associazione. Questa è una guerra, una guerra da condurre in uno Stato democratico con le armi dello Stato di diritto e della separazione dei poteri, e rispettando i cittadini. Ma tutte queste persone che predicano l’odio sui social media, tutte queste associazioni salafite, tutti questi personaggi che ormai conosciamo bene e che parlano molto… Contro di loro va condotta una guerra giuridica e politica senza precedenti, incomparabile con quello che è stato fatto finora”. Ecco, questo è il punto: finora contro l’islamismo sono state spese molte parole ma non è stata sufficientemente usata la forza dello Stato democratico. Auguriamoci che il sacrificio di Samuel Paty possa costituire quel punto di svolta che Manuel Valls auspica.
Valentino Baldacci