Vivere insieme al virus

Eccoci nel pieno della prevista seconda ondata. Le riaperture graduali, i test più diffusi, le mascherine anche all’aperto, i rigorosi distanziamenti sociali non ci hanno salvato. Con due settimane di ritardo rispetto agli attuali epicentri europei del contagio (Francia, Gran Bretagna, Spagna e ora anche Germania), il Covid-19 si diffonde in Italia in modo di nuovo preoccupante, quasi allarmante. Accade ora il contrario rispetto a quanto avvenuto nella primavera scorsa: allora l’ Europa si illuse di evitare il dramma italiano di marzo-aprile e ci cadde poco dopo; adesso è stato il nostro paese a ingannarsi pensando di uscirne più facilmente degli altri. Tutto ciò non cambia niente; serve solo a confermare che la pandemia segue il suo sviluppo naturale, prescindendo dai nostri calcoli e dalle nostre speranze. Con atteggiamento da filosofi scettici e con visione fatalista potremmo anche dire che dobbiamo cogliere quel che verrà, che non ci sono strade pianificabili per uscire da questo vortice di contagi. Sappiamo invece che la scienza e le accortezze di saggia prevenzione che essa ci consiglia pur non giungendo ancora a sconfiggere il virus ci aiutano enormemente a resistere e a difenderci.
Resistere e difendersi. Non a caso uso questi due termini, che mi paiono a questo punto indicare l’unica strada per ora percorribile. Ci eravamo illusi, nella nostra totale inesperienza rispetto alle caratteristiche e alle conseguenze di una pandemia, che sarebbe stata una parentesi, una fase difficile superabile nel giro di qualche mese e con danni limitati, aspettando solo di rituffarci con maggior entusiasmo nella nostra vita, nei nostri interessi e orientamenti di “prima”. Una speranza alla quale ci attaccavamo tenacemente, dopo il periodo traumatico e pesante della prima emergenza, e che sembrava trovare un fondamento nel progressivo attenuarsi del numero dei malati e nella conseguente ripresa di un tono di vita quasi normale che hanno caratterizzato la tarda primavera e soprattutto l’estate. Oggi possiamo dire che si era trattato di una semplice pausa, evidentemente connaturata al modo di manifestarsi e di procedere del virus. Nella situazione attuale, con un contagio che continua a crescere esponenzialmente in tutta Europa e che si mantiene altissimo negli Stati già falcidiati (USA, Brasile e India in testa), è sempre più insensato lanciarsi in avventate previsioni su quando avremo il sospirato vaccino e riusciremo finalmente a debellare il Coronavirus, mentre pare ragionevole affermare che dovremo imparare a convivere con esso per svariati anni. E per convivere con la malattia è necessario appunto resistere e difendersi, resistere rassegnandosi alla situazione e difendendosi con le misure precauzionali che ormai tutti abbiamo imparato e cerchiamo di seguire più o meno scrupolosamente ogni giorno.
Purtroppo però i segnali che giungono in questi giorni non sono incoraggianti. Il termometro del paese rileva un comprensibile e forse inevitabile aumento di preoccupazione, incertezza, smarrimento, rabbia, protesta. Cioè l’esatto contrario della capacità di sopportazione, della consapevolezza collettiva, della coesione che sarebbero necessarie e che pure la popolazione italiana aveva mostrato al mondo nei giorni bui di marzo e aprile. Ma come dare torto alla gente arrabbiata, se le code per i tamponi sono interminabili e se gli esiti dei test tardano ad arrivare? Come criticare chi giustamente manifesta per difendere la possibilità di lavorare (dunque di campare) di fronte a chiusure massicce e senza compromessi come quella dei centri commerciali nel fine settimana?
Il governo, occorre sottolinearlo, si impegna al massimo per tentare di tenere sotto controllo la situazione in un momento così difficile, assumendo anche decisioni drastiche e impopolari, forse in parte necessarie. Talvolta però dà l’impressione di usare più l’accetta che la trattativa consapevole, non valutando appieno le conseguenze economiche e sociali di scelte estreme. La sensazione (spero di sbagliarmi) è che uno stato di cose progressivamente più grave stia in realtà sfuggendo di mano all’esecutivo, il quale di fronte a un forte incremento dei casi (atteso ma non previsto in proporzioni così massicce) si trova talvolta a dover navigare a vista.
A convivere col Covid e con i suoi rischi dovremo comunque imparare; sarà l’unica via per poter andare avanti, costruendo le nostre esistenze in modo differente rispetto alle abitudini di un tempo. Certo, sarà triste dover continuare a nascondere dietro la mascherina il nostro volto e il nostro sorriso; il respiro là sotto sarà a lungo ancora difficile, gli occhiali continueranno ad appannarsi ad ogni emissione di fiato. Ma se le precauzioni saranno praticate e condivise, se l’organizzazione delle cure sarà efficiente, forse sarà possibile circoscrivere la diffusione del contagio e andare comunque avanti limitando i danni. Difendersi e resistere, appunto.

David Sorani