Il principio satanico

No, per cortesia, nessun fraintendimento. Soprattutto, non commettiamo l’errore di interpretare lo sfrangiamento che stiamo vivendo nei tempi correnti, che attraversiamo come una terra straniera, con gli strumenti del passato. Questi ultimi, infatti, non ci aiutano a capire il presente. Le recentissime vicende francesi di queste ultime settimane, sono a ricalco del mutamento che sta avvenendo sia nelle società a sviluppo avanzato, sommerse dalla marea montante di una pandemia che le sta trasformando profondamente, passo dopo passo, sia nelle società che temono di perdere l’ultimo treno della trasformazione, nel Mediterraneo così come in Africa ed Asia. Le une e le altre presagiscono il mutamento a venire ma non sanno quale nome, e soprattutto quali e quanti significati, attribuire ad esso. Poiché stiamo vivendo un cambiamento che mette in discussione anche i modi, i mezzi, gli strumenti con i quali interpretiamo il nostro presente. Il richiamo è a quanto è avvenuto, in queste ultime settimane, con un prevedibile ritorno del radicalismo islamista sulla scena europea. Un attore politico, quest’ultimo, che non se ne è mai andato via dalla proscenio internazionale e da quello continentale. E che quindi ritorna, con inquietante costanza, con la dirompenza della sua violenza. Al pari dei terrorismi militanti, tali poiché parte non di un progetto unitario, di un’unica centrale, bensì di disegni tra di loro tanto concorrenti quanto, in alcuni casi, convergenti. Quindi, a volte interagenti. Finita temporaneamente la fase storica della violenza sul campo, quella dell’Isis, il sedicente “califfato”, con un suo esercito e una sua amministrazione; attenuatasi la stagione del terrorismo spettacolare e “tecnologico” di al-Qaeda, fatto di ombre e di know-how, sulla falsariga dello scimmiottamento del suo nemico, l’«Occidente»; perdutasi nelle lande dell’irrilevanza la violenza insurrezionale di ciò che residuava dei movimenti di “liberazione” a matrice laica, ciò che resta – e non è poco – è il solitario terrorismo dei “lupi solitari”. Potenzialmente, assai più pericoloso di qualsiasi esercito organizzato. In quanto coniuga all’infinito elementi di auto-radicalizzazione (mi educo da me all’intransigenza che mi spinge al sacrificio altrui e mio), di carica eversiva (la mia rabbia si trasforma nella violenza del mio corpo, senza il bisogno, anzitempo, di farmi inquadrare e indottrinare da altri) e di narcisismo (io stesso sono arma contundente, usando la mia persona come strumento di autoaffermazione nel momento stesso in cui distruggo e mi disintegro). A ben pensarci, una miscela a dir poco esplosiva, potenzialmente riproducibile all’infinito. Se i sociologismi ci dicono che il terrorismo nascerebbe dal mero disagio della marginalità – francamente è una tesa smentita già da tempo ed in modo molto accurato, con dovizia di argomentazioni e riscontri – un’interpretazione in grado di reggere al passo dei tempi dovrebbe invece argomentare sul fatto che il radicalismo islamista, nella sua sorprendente varietà di manifestazioni e motivazioni, rimane comunque un attore politico unitario. Tutto ciò non implica in alcun modo che non ci siano registi e beneficiari, anche se i tristi attori sono intercambiabili. Plausibilmente, come nel caso del sultano di Ankara, stanno – se non nell’ombra – comunque un passo indietro rispetto all’imputazione della responsabilità diretta di mandanti politici dello scempio sul quale stanno invece cercando di costruire le loro fortune. Sono abili, rigenerando la formula che sta alla base del terrorismo medesimo: poiché quest’ultimo, nella storia dell’umanità, ha puntualmente disatteso le sue promesse di palingenesi, dimostrandosi invece assai proclive a rafforzare quei poteri autocratici dei quali finge invece di essere una critica implacabile, nel nome di un principio superiore che non è mai quello della vita ma sempre e solo quello della morte. Nella quale si crogiola, come principe satanico assoluto.

Claudio Vercelli