Beth Shlomo, una storia da salvare
“In questo storico edificio tornò a vita dopo lo scempio delle persecuzioni fasciste e naziste la Comunità ebraica di Milano. Qui furono attivi tra il 1945 e i primi anni ’50 un luogo di culto, un centro di accoglienza profughi. Qui decine di migliaia di ebrei strappati alle loro case e alle loro famiglie trovarono amorevole assistenza, rifugio, sostentamento, cure mediche, notizie di familiari dispersi. Per molti fu da qui organizzato l’approdo alle sponde della Terra Promessa”. Così recita la targa commemorativa apposta nel cortile di Palazzo Odescalchi in via Unione 5, oggi sede della Polizia di Stato, che ricorda i giorni della rinascita dell’ebraismo milanese alla fine della seconda guerra mondiale. Una rinascita che ebbe tra i suoi luoghi simbolo la sinagoga con il suo Aron HaKodesh del campo di concentramento di Ferramonti, in Calabria, e i Sifrei Torah portati a Milano dal rabbino capo di Genova Riccardo Pacifici. Un luogo creato attraverso l’impegno dei soldati ebrei dell’esercito Britannico – tra cui i volontari della Brigata Ebraica – e dei profughi giunti a Milano per trovare riparo e, in parte, per fare l’Aliyah. Un luogo carico di storia di cui nel tempo si è fatto custode il Beth Shlomo She’erit Haplità – oggi con sede in Porta Romana – che rappresenta l’erede di quella prima sinagoga di via Unione 5 (nell’immagine un matrimonio celebrato in quella sede). Proprio il Beth Shlomo, memoria della rinascita ebraica a Milano, rischia oggi di dover chiudere per mancanza di fondi, e per questo è stata lanciata una campagna di crowdfunding per sostenerlo. “Aiuta il Beth Shlomo a mantenere la sua memoria”, il titolo della raccolta fondi a cui chiunque può partecipare per dare un contributo a tutelare un luogo storico per Milano e per il suo ebraismo (qui per ulteriori informazioni).