“Gli Usa e la mia prima volta al voto,
a vincere è sempre la democrazia”

Ho passato gli ultimi due giorni a fissare ipnotizzata la mappa degli Stati Uniti. Gli stati rossi, gli stati blu, gli stati in sospeso, gli annunci e le scadenze. È la prima volta che in America voto per un presidente. Nel 2016, quando la vittoria di Trump ha lasciato il mondo a bocca aperta, non avevo ancora la cittadinanza. Quest’anno ho fatto invece la mia parte e per quanto il risultato fosse scontato – la Louisiana è roccaforte repubblicana e come prevedibile Trump ha totalizzato un secco 60 per cento – la sensazione di aver detto la mia non mi lascia.
Non è solo la posta in gioco, la pandemia che incalza, la terrificante crisi economica, il disagio sociale che avanza, il razzismo e certe violenze poliziesche. È il grande rito della democrazia americano che mai come quest’anno è stato così appassionato e affollato, malgrado il virus, lo spettro dei disordini civili e il timore di brogli.
Oltre cento milioni di americani al voto sono una cifra da capogiro e solo a guardare i dettagli di questo voto – i voti per posta e quelli anticipati, i volontari mobilitati in massa in tutto il paese per le registrazioni e tenere aperti i seggi – si sente battere il polso di qualcosa che spesso tendiamo a dimenticare. E cioè che l’America, nonostante tutto, è ancora una democrazia e che così alla fine si declina la partecipazione.
Si può discutere se si ama o meno quest’America – sui social molti italiani dichiarano ad esempio di detestarla e di preferire il jazz, Martin Luther King o l’Nba. E chi non ama Philip Roth (Woody Allen ormai è un altro discorso…)? Sognare è innocuo, soprattutto dall’altra parte dell’oceano. E i social si lasciano scrivere, sono lì per quello.
Le sfide della realtà sono però altre. Riguardano il futuro dell’America e questioni molto concrete – dalla gestione della pandemia all’assistenza sanitaria, dal diritto all’aborto all’immigrazione, senza dimenticare lo slancio antirazzista che ha contrassegnato il periodo seguito alla morte di George Floyd. Non per caso i seggi elettorali hanno registrato un’affluenza record malgrado file spesso chilometriche, i voti per posta sono cataste impressionanti e così è stato l’afflusso al voto anticipato.
Entro venerdì il risultato elettorale dovrebbe assestarsi e a quel punto si apriranno altre incognite – riconteggi, ricorsi, veleni. E non è un mistero che si temano scontri. Intanto, la democrazia ha vinto ancora una volta, nel mio caso in una scuola immersa nel verde, dove le cabine elettorali sono state allestite in una minuscola palestra in un scenario che più artigianale non si potrebbe immaginare.
Due tende di plastica a celare, come nei camerini dei negozi, il votante insieme a una tastiera che più ingombrante non si può immaginare. Il presidente, i senatori, i giudici e a seguire gli emendamenti alla costituzione dello stato. Premi, si illumina di verde. Sbagli, correggi. E alla fine clicchi sul tasto rosso. Suona. Hai fatto. Esci, disinfetti le mani e ti togli la mascherina.
Poi corri a casa a fissare la mappa che cambia, senza immaginare quell’onda blu che tanti si aspettavano. A vivere quaggiù si impara alla svelta che l’America è un po’ più complicata.

Daniela Gross

(5 novembre 2020)