“Guariremo gli Stati Uniti”

“Voglio essere un presidente che unifica, che non vede il blu e il rosso, ma gli Stati Uniti. Ho accettato questo incarico per andare a ricostruire la spina dorsale di questo paese. È venuto il momento di guarire gli Stati Uniti”. È l’impegno preso da Joe Biden nel suo discorso di accettazione. 
Sulla stessa lunghezza d’onda la sua vice Kamala Harris: “Ora inizia il nostro lavoro, duro, necessario, per sconfiggere la pandemia, risollevare la nostra economia, sradicare il razzismo, riportare un sistema di uguaglianza, guarire l’anima della nostra nazione”. 
Che America sarà con Biden e Harris al comando? Per il politologo Michael Walzer la vita della nuova amministrazione sarà complicata dal fatto di non essere riuscita a conquistare il Senato. “L’America – dice in una intervista con Repubblica – esce dalle urne evidentemente divisa, metà paese ancora sensibile alla retorica populista di Donald Trump. Certo, non ho dubbi, le cose miglioreranno. Biden contribuirà a distendere molte tensioni interne e globali. Se Trump avesse vinto gli squilibri da lui creati si sarebbero trasformati in fratture insanabili”. 
Jeffrey Sachs, consigliere del segretario generale delle Nazioni Unite, delinea con La Stampa le priorità dell’amministrazione Biden: “La prima è la pandemia. Con Trump non c’è stata una politica di salute pubblica, ma Biden ci lavorerà da subito, ristabilendo la cooperazione globale con l’Oms. Poi ci sono le urgenze finanziarie, la disoccupazione, i piani per la crescita, il clima”. Con Biden, aggiunge Sachs, “rinascerà l’alleanza occidentale”.

Cosa resta dell’America dopo la caduta di Trump? Se lo chiede Furio Colombo (Fatto Quotidiano), arrivando a questa conclusione: “Biden governerà un Paese di macerie morali e istituzionali. Ma lascerà un segno per i futuri bambini delle scuole americane”. La vittoria di Biden, scrive Maurizio Molinari nel suo editoriale in prima pagina su Repubblica, è la dimostrazione che “il populismo può essere sconfitto nelle urne”. Fiamma Nirenstein (Il Giornale) non è tra quanti esultano: “Nel mondo i peggiori festeggiano”. Il riferimento è all’Iran, che “spera in ciò che Biden ha promesso, una ridefinizione del trattato cancellato da Trump”. Un tema su cui si sofferma in un editoriale al solito molto critico verso Israele il sociologo Alessandro Orsini (Il Messaggero). 

Scompare a 72 anni rav Jonathan Sacks, già rabbino capo di Gran Bretagna e tra le voci più autorevoli del mondo ebraico contemporaneo. L’annuncio del decesso è stato dato ieri sera, al termine dello Shabbat. “La sua morte – scrive Repubblica – suscita un cordoglio che va al di là dei confini di una singola fede o nazione: lo ricordano in tanti, da Londra a Israele, dalla camera dei Lord, di cui era diventato membro nel 2009 con il titolo di baronetto, alla famiglia reale britannica, di cui era amico, tanto da essere invitato al matrimonio di William e Kate, dal mondo accademico, laureato a Cambridge ed Oxford aveva decine di diplomi ad honorem, all’editoria, come autore di oltre trenta libri di teologia, filosofia e morale”. 

Ampia intervista del rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni al quotidiano Libero. Tra i temi trattati nel colloquio, che dà anche il titolo all’intervista, c’è la questione dell’antisemitismo a sinistra. “È quello – afferma il rav – che gioca sull’equivoco dei poveri contro i ricchi, identificando erroneamente gli ebrei come detentori dei poteri economici. Un vizietto che già compare nel giovane Marx, per quanto fosse il nipote di un rabbino”. 

“Un attentato è sempre un enorme choc, traumatizza. Ma il fatto che l’attentatore sia nato e cresciuto a Vienna rende quello appena avvenuto ancora più tetro”. È quanto afferma lo scrittore Robert Menasse, intervistato dalla Lettura del Corriere. 

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(8 nov 2020)