Le variabili dipendenti

Viviamo tempi straordinari. L’aggettivo è per nulla entusiastico. L’etimo di straordinarietà, infatti, riposa nella radice latina: extraordinarius, composto di extra «fuori» e ordo-dĭnis «ordine». Siamo immobilizzati dentro lockdown parziali o totali, con un andamento carsico (apertura, chiusura, riapertura) nel mentre vediamo la nostra vita svolgersi sotto i nostri occhi, sentendocene espropriati. Il tutto si velocizza. C’è un cambiamento in atto che coinvolge non solo le nostre singole vite, il nostro Paese ma l’intero pianeta. In maniera diseguale con prevedibilissimi effetti di incentivazione delle diseguaglianze. Eppure il punto non è neanche questo, ovvero non è riconducibile solo a questo aspetto. In quanto la digitalizzazione accentuata, la necessità di trasmigrare non solo dati ma relazioni e rapporti dalla dimensione fisica, in presenza, a quella virtuale, a distanza, pesa già da adesso come un macigno nei legami sociali. Ossia, nel modo in cui intendiamo i rapporti interpersonali, vivendoli in maniera completamente diversa da come ancora potevamo fare all’inizio di quest’anno. Non può bastarci il dire che prima o poi questo lungo tunnel si esaurirà, poiché quando ciò capiterà, saremo già oltre certi orizzonti per potere dire che ci risulterà sufficiente “tornare indietro”. L’uomo è un animale sociale: esiste e realizza se stesso, la sua personalità, se interagisce con i suoi simili. Non a caso, la scelta di chi intenda separarsi dal mondo (che sia l’asceta, l’anacoreta, il monaco, più universalmente l’eremita), è sempre segno di eccezione, non di normalità ed abitualità. Si tratta, in quest’ultimo caso, di uno specifico accordo con una vocazione interiore che, per il fatto stesso di manifestarsi, conferma che la tipicità delle esistenze si fonda invece nelle interazioni costanti tra i propri simili. Qualunque sia l’esito di tali scambi. Cosa produrrà la pandemia sul piano non solo dei modi e dei criteri con i quali ci relazioniamo (tempi, luoghi, forme dei legami interpersonali) ma anche della percezione che si ha di quella complessa condizione che definiamo come «esistenza umana», ce lo potranno dire solo i tempi a venire. Poiché non si tratta esclusivamente di una condizione biologica ma anche e soprattutto culturale, civile e morale estremamente complessa. Così come è tutto da capire quale sia il destino di quella parte del lavoro che sta decadendo, non venendo sostituita da altro che non sia l’accelerata digitalizzazione. Non è solo il pur rilevante problema del reddito collettivo ma anche quello, ancora una volta, dell’identità. In quanto quest’ultima è una variabile dipendente da molti fattori, a partire da ciò che si fa, da come lo si realizza, dalla considerazione sociale che il proprio operare raccoglie tra coloro che ci circondano. Andiamo verso un’epoca di grandi discontinuità, che non potremo tanto agevolmente interpretare con categorie e una strumentazione culturale che sta diventando velocemente anacronistica. Tempi eccezionali, per l’appunto, poiché l’orizzonte si è appannato e la navigazione, inevitabilmente, torna ad essere fatta a vista. Ci occorre una buona vista, capace di vedere ma anche di prevedere, nel limite dello scibile umano si intende.

Claudio Vercelli

(8 novembre 2020)