Amabili demoni

È normale che l’essere umano voglia rimuovere i contenuti che, a torto o ragione, percepisce come minacciosi per il suo benessere, purché la rimozione non porti ad un totale distacco dalla realtà, che potrebbe rivelarsi peggiore della piena consapevolezza dei fatti.
Dei quali fatti, ad esempio, fa parte anche un meraviglioso presepe vivente, forse il più bello, che però quando lo si visita non reca la benché minima traccia dell’ebraismo di Gesù. Pensavo fosse una mia distorsione percettiva, finché non ho letto sul sito del Presepe che si raffigurano un suq arabo, insediamenti beduini, un castrum romano, ma degli ebrei non vi è cenno. Nella descrizione di Betlemme, poi, si offre una versione dell’incidente della Chiesa della Natività che mi lascia perplesso. Starò sbagliando? Da altri elementi, traggo ulteriori perplessità: però può essere – perché no? – che sbagli ancora e che, addirittura, perseveri nell’errore.
Ora, checché se ne pensi sul presepe non ambientato in un contesto ebraico, sull’assedio alla Chiesa della Natività, sulla responsabilità nella Guerra dei Sei Giorni e finanche sulle accuse di apartheid, mosse sovente ad Israele, non sarebbe facile stabilire sic et simpliciter se si tratti di pregiudizio o meno. Quanto meno, il compito sarebbe superiore alle mie capacità e lo dovrei devolvere ad altri. Per affrontare la questione, servirebbe un Trattato, e forse bisognerebbe avere una concezione del diritto diversa dalla mia, perché considero che se ogni azione umana fosse punibile, quale che ne sia la sede, bisognerebbe pensare più a Borges che ad Antolisei: rilassiamoci.
Posso però dire che percepisco che il danno agli ebrei è superiore di quel che deriva dal solito linguaggio becero, corrivo, sguaiato, volgare ed aggressivo, perché promana da persone davvero rispettabili con la cravatta oppure da enti associativi che, se potessero, avrebbero anch’esse una cravatta ideale. Anche qui: non mi domandate se vi sia un danno ingiusto, sia perché faticherei troppo a stabilirlo, sia perché la mia opinione non interesserebbe a nessuno. Dal punto di vista giuridico, i casi che non rientrano nella sfera né della hard law né della soft law, fuoriescono dall’oggetto dei convegni che organizziamo, dove l’indignazione è speculare alle proposte e, come spesso vado scrivendo, tendono a spostarsi sul piano culturale (cfr. Fra legittimità e merito, spunta il versante culturale, Vita Not., n° 2, maggio- agosto 2020, p. 1).
Nondimeno, quando circoliamo, cosa che capita, in un contesto che demonizza amabilmente, finiamo per essere considerati degli amabili demoni, nel qual caso non penso necessariamente alla norma bensì a quanto accade di norma. Se la zona grigia oscura quella nera, avremmo tre tonalità di problemi, che postulerebbero un impegno culturale che non saprebbe esaurirsi nei moralismi spiccioli e, ahimè, sterili.

Emanuele Calò, giurista