Una generazione resiliente

“En Brirà. Non c’è scelta, dobbiamo rispettare le regole, è inutile battere la testa contro il muro e lamentarsi. Facciamo quanto ci dicono e forse questo potrà abbreviare questo periodo così antipatico del covid-19. È l’unica arma che abbiamo a disposizione”. Dalla sua stanza nella Casa di Riposo “Salomon e Augusto Segre” di Torino, Ornella Sierra non nasconde la difficoltà dell’isolamento, ma il tono è energico e sorridente. “Ho 92 anni e sono trattata benissimo. Mi hanno fatto il tampone in questi giorni e sono risultata positiva, fortunatamente sono asintomatica, ma devo rimanere chiusa in camera. Ma che ci possiamo fare?”. Televisione e giornali sono la compagnia della signora Sierra, moglie di rav Sergio Sierra z.l, che racconta di essersi trasferita nella casa di riposo della Comunità ebraica torinese su spinta della famiglia. “Buona parte dei miei parenti è in Israele, ma qui a Torino ho una figlia e due splendidi nipoti. Quando è morto mio marito, mi hanno suggerito di venire in casa di riposo e devo dire che mi trovo bene. C’è un bel clima ebraico ed è importante: sa, io e mio marito abbiamo dedicato la vita a questo, creare un’atmosfera ebraica nelle diverse comunità”. Al fianco rav Sierra, la signora Ornella (nell’immagine a sinistra) si è spostata prima a Bologna, nel primo dopoguerra, e poi a Torino, e infine in Israele: “a Bologna il tempio era distrutto e non c’era praticamente nulla. Riprendemmo uno a uno gli ebrei in città per riportarli in comunità, per ricostruire una comunità. Erano anni difficili, ma mio marito era molto impegnato nell’educazione ebraica e sionista. E io con lui. Dodici persone da Bologna hanno poi fatto l’aliyah, ed è stata una bella soddisfazione”. Anni di ricostruzione su cui si poggia l’ebraismo italiano di oggi. “Ora sono una nulla facente”, aggiunge ridendo Segre. L’isolamento e la notizia della positività al covid-19 non le hanno tolto il buon umore. Così come non l’hanno tolto a una delle ospiti della Residenza Anziani Arzaga di Milano. Anche lei è risultata positiva al covid-19 e come la signora Sierra non ha avuto sintomi. Chiede riserbo sul suo nome, ma racconta la sua esperienza. “Dopo che mi hanno fatto il tampone e sono risultata positiva, mi hanno trasferita al Sacco. Non avevo sintomi e mi hanno messo in una stanzona con un’altra persona. Le infermiere mi hanno chiesto di chiamarle solo se necessario, spiegando che per entrare in stanza si devono vestire di tutto punto. Io ho capito, ma l’altra signora non aveva molto recepito il messaggio. Comunque al Sacco sono stati bravissimi, come lo sono in casa di riposo. Ora sono in isolamento, ma tanto non ho l’età per andare in discoteca”, il racconto di una ultraottantenne ancora in pieno spirito. “Proprio durante la prima pandemia mi hanno operato per un tumore. Ho fatto attenzione tutta la vita, fatto tutti i controlli, ma questo male mi ha colpito comunque”. Adesso spiega di essere preoccupata per la pandemia. “Io sono attentissima e e chiedo anche ai miei figli di mettere la mascherina sempre”. Come la signora Sierra, a farle compagnia sono le telefonate dei parenti, la televisione, i romanzi. E uno spirito sereno, temprato dalle difficoltà. “Accolgo la vita come viene. Può darsi che il passato mi aiuti. Ricordo come nel 1948, durante la guerra in Israele, mentre eravamo nei bunker con le bombe che cadevano, noi cantavamo”, racconta, ripetendo con una risata, “eh sì noi cantavamo”. “Sa cosa, forse noi l’abbiamo nel Dna questa resistenza”.

Dossier Anziani, Pagine Ebraiche Novembre 2020