La speranza dei vaccini e il contributo ebraico alla ricerca
“Potrebbe rivelarsi uno dei più grandi progressi medici degli ultimi 100 anni”. Così Mikael Dolsten, capo scienziato della Pfizer (nell’immagine), alcuni giorni fa aveva commentato la notizia dei risultati del vaccino anti-covid 19 prodotto dalla sua azienda. Un vaccino con il 90 per cento di efficacia, secondo l’esito dei test. Ora è arrivato anche lo straordinario risultato della concorrente Moderna, con il 94,5 per cento di efficacia del suo vaccino sulle persone testate nel corso della sperimentazione. “Garantirà l’immunità a lungo”, la dichiarazione a Repubblica del capo scienziato di Moderna, l’israeliano Tal Zaks. Entrambe le sperimentazioni sono ancora in corso e i dati finali potrebbero cambiare, ma si tratta comunque di risultati eccezionali. Il vaccino di Moderna sembra avere un vantaggio significativo: è più facile da conservare, poiché rimane stabile a meno 20 gradi per un massimo di sei mesi e può essere conservato in un frigorifero standard per un mese; mentre per quello di Pfizer si parla di gradazioni molto più basse, -80, -70 e quindi di una tecnologia più complessa per la conservazione. “Avevo detto che sarei stato soddisfatto di un vaccino efficace al 75 per cento. Idealmente, avrei voluto vedere il 90-95 per cento, ma non mi aspettavo tanto. Pensavo sarebbe andata bene, ma il 94,5 per cento è veramente impressionante” la sorpresa di Anthony Fauci, simbolo della lotta negli Usa contro la pandemia e tra i più stimati scienziati a livello internazionale.
Mentre si continueranno a fare i test necessari, Dolsten, intervistato dall’agenzia ebraica Jta, ha voluto enfatizzare un elemento: il contributo dato alle ricerche scientifiche da persone come lui, immigrate negli States dall’estero. “Molte delle grandi scoperte in America sono venute da persone immigrate”, ha sottolineato Dolsten, ricordando l’esempio di Albert Einstein e di altri. “C’è una forte tradizione ebraica nel dare un contributo all’umanità e in particolare all’interno della medicina”, ha aggiunto lo scienziato, arrivato in America dalla Svezia. Dalla Grecia è invece immigrato il suo capo, l’amministratore delegato della Pfizer Albert Bourla, ebreo di Salonicco. Al New York Times Ugur Şahin, capo dell’azienda biotecnologica tedesca BioNTech che collabora con Pfizer al vaccino, ha spiegato di aver legato con Bourla grazie “al comune background di scienziati e immigrati”. Şahin così come il socio Ozlem Tureci sono infatti emigrati dalla Turchia alla Germania, dove hanno fondato BioNTech. E ancora, da Israele, dopo gli studi alla Ben-Gurion University di Beer Sheva, si è trasferito negli Usa Zaka, di Moderna, un trasferimento deciso per “realizzare il mio sogno e tradurre la scienza in medicina. – ha spiegato in un’intervista al sito d’informazione Globes – Spero che Israele continui a sviluppare il suo settore biotecnologico. Dove posso essere più efficace, lì mi troverete”.
Nel colloquio con la Jta, Dolsten avverte di non dare per scontato il valore del multiculturalismo. “Afferma di essere cresciuto in un’epoca diversa, dopo la seconda guerra mondiale, quando le opportunità e la sicurezza erano garantite a tutti in Svezia e gli Stati Uniti erano un faro per gli immigrati che cercavano di fare innovazioni che potevano cambiare il mondo. Entrambi i paesi – rileva la Jta – ora affrontano tensioni politiche e sociali che minacciano queste tradizioni”. La speranza di Dolsten – che nella sua formazione ha scelto anche un passaggio al prestigioso istituto israeliano Weizmann – è che gli Stati Uniti tornino ad essere “di nuovo un sole splendente, e che riusciremo a riunire le persone piuttosto che allontanarci dal mondo. “Sento molti europei dire di sentire la mancanza degli Stati Uniti come immagine del futuro”.