La sfida di essere all’altezza

In Parlamento si dibatte sulla legislazione in tema di omofobia. Sono alquanto perplesso su ogni disciplina de iure condito e finanche de iure condendo quando latita il dato comparatistico. Tutto ciò fa capo ad un’insufficiente considerazione del diritto comparato e perfino della necessità di una ricerca che non si limiti alla lingua nazionale. Con un pizzico d’insofferenza, rilevo che si usa a profusione la lingua inglese per nobilitare ogni discorso (smart working, lockdown) anziché farne ricorso in sede di ricerca. Un esempio: l’ufficio studi della Camera, anziché produrre delle schede (peraltro eccellenti, ma geograficamente circoscritte) in materia di ius soli, avrebbe potuto attingere al ricchissimo materiale in inglese presente sul sito dell’Istituto Universitario Europeo (European University Institute) di Firenze, fatto di libri e di schede che comprendono tutto il mondo. A riprova che tutti ricordano Tullio Ascarelli, ma pochi applicano i suoi insegnamenti.
Nel caso dell’omofobia, anziché accrescere la già traboccante entropia legislativa nazionale, sarebbe bastato unificare la disciplina delle discriminazioni così come quella dei c.d. crimini di odio, in una sola legge ed in una sola aggravante, come si fa nei Paesi avanzati che, nel caso dell’Europa, sono il Regno Unito, la Germania e, in misura minore (perché si basa su leggi del XIX secolo) la Francia. Quindi, anziché inveire contro quei Paesi, cerchiamo di esserne all’altezza, che è un atteggiamento molto più patriottico. Il vero patriottismo non si dimostra con la xenofobia ma con l’impegno perché il proprio Paese non sia mai nelle retrovie.
Quanto alle norme di contrasto all’antisemitismo, è facile imbattersi nel nostro ordinamento in una pletora entropica formata da norme disomogenee, recepimenti meccanici di norme internazionali e mancati aggiornamenti. Tutto ciò comporta il contrario di quanto previsto dall’art. 21 della Carta europea dei diritti fondamentali, dove confluiscono le diverse fattispecie discriminatorie, norma ovviamente da non travasare, ma da considerare soltanto come fonte d’ispirazione.
L’esito consiste in una balcanizzazione delle norme a tutela delle categorie oggetto di protezione, con la conseguente insorgenza di difficoltà applicative che, nel caso dell’antisemitismo, emergono da una copiosa giurisprudenza. Potremmo soggiungere qualche altra osservazione, ma i tempi che viviamo sono sufficientemente mesti perché valga la pena eccedere nelle critiche.

Emanuele Calò, giurista

(17 novembre 2020)