Scuola ebraica di Torino, il ricordo
di cinque maestre indimenticabili

Grande partecipazione all’iniziativa dell’Asset, l’associazione degli ex allievi della Scuola Ebraica di Torino, a ricordo di cinque maestre che vi hanno insegnato tra gli anni ’30 e gli anni ’70 del secolo scorso, con collegamenti via zoom anche da New York, Gerusalemme, Roma, Manchester.
È stata Cristina Bonino, dopo la presentazione del Presidente Asset Giulio Disegni, a introdurre con un breve tracciato i momenti più caratterizzanti della storia dell’istituto. “Nel settembre del 1938 – ha ricordato – a Torino esistevano solo un asilo e una scuola elementare, il Collegio israelitico Colonna e Finzi, inaugurato nel novembre del 1823. Inizialmente fu frequentato solo dagli ebrei più poveri; già nel 1935, però, le cose iniziarono a cambiare e le elementari videro la presenza dei bambini ebrei che abitavano nella zona del Tempio e di altri che la preferirono a un’istruzione pubblica che, dopo la riforma Gentile, aveva ricevuto un’impostazione fortemente cattolica”.
Bonino ha sottolineato come, per quanto ben organizzata, la Colonna e Finzi nel 1938 non fosse più sufficiente. Tanto che fu necessario dare vita a nuovi corsi di scuola media e superiore, progetto cui si dedicarono con energia e determinazione notevoli Alessandro e Benvenuto Terracini: “Nel giro di pochissimo tempo – ha spiegato – si diede vita a cinque classi di ginnasio e tre di liceo classico, a cui furono aggiunti una scuola di avviamento e un istituto tecnico”.
Dei 133 allievi che nel novembre del 1938 andarono ad affollare i locali dell’Officina serale di via Bidone, dove erano state organizzate in modo provvisorio le lezioni, circa 117 provenivano dalle scuole pubbliche torinesi e solo 16 erano passati alla nuova scuola dopo aver ottenuto la licenza elementare alla Colonna e Finzi.
“Come era successo ai loro allievi – ha proseguito la Bonino – anche i professori che andarono a insegnare nella nuova scuola ebraica erano stati cacciati dalla scuola pubblica; avevano visto da un giorno all’altro la propria carriera interrotta e avevano dovuto ripensare alla radice al proprio ruolo nella società”.
La nuova scuola non era solo un luogo dove poter nuovamente lavorare, ma anche un modo per riaffermare se stessi e la propria calpestata professionalità; una professionalità notevole se solo si considera che tra gli insegnanti figuravano, solo per citarne alcuni, nomi come quello di Salvatore Foa, Giuseppe Gallico, Bonaparte Colombo, nonché degli stessi presidi del liceo, Giacomo Tedesco e Giuseppe Morpurgo.
È seguito il ricordo di cinque maestre che insegnarono per oltre quattro decenni: Quinzia e Bianca Amar, Alma e Tirsa Levi e Virginia Levi Montel dedicarono un’intera esistenza al servizio della scuola, concependo il loro lavoro come una sorta di missione.
Nel settembre del 1945, a guerra finita, riaprirono i battenti le scuole elementari, le medie e venne anche fatto un tentativo di riattivare un corso liceale, che però non ebbe successo. Dal 1946 la scuola venne aperta ad allievi non ebrei; all’inizio si trattò di pochi alunni, per lo più valdesi, poi i non ebrei erano più della metà degli iscritti e tra essi figuravano anche i cattolici, segno di un’apertura che, con i valori della democrazia e della partecipazione, caratterizzò, e continua a caratterizzare, la scuola.
Gabriella Cohen ha ricordato che “negli anni ’60 noi eravamo i figli della rinascita, ancora inconsapevoli della tragedia che ci aveva preceduti di pochi anni ed ogni cosa ci appariva dolce, magica ed accogliente. La vita per noi era amabile e ci gratificava con il privilegio degli agi, delle tenerezze, del bene e di un Mondo a colori e non del bianco e nero tratteggiato dalla guerra, dalle privazioni, dalla disperazione…Iniziava così la prima grande avventura della mia vita”.
E Sarah Randaccio ha detto della sua insegnante: “Era rigorosa e ‘severa’, come lo era il suo aspetto. Una severità che era anche ordine, metodo, che imparai ad apprezzare. Le note, con la matita rossa e blu, gli articoli e preposizioni, che dovevano essere messi al posto giusto, ripetuti sino alla nausea. Ma… ne vado orgogliosa e fiera, perché mi ha insegnato, oltre che l’ortografia e la grammatica, un modo di pensare ed essere che è stato parte del mio corredo nella vita”.
Anche Livia Momigliano ha sottolineato la dedizione profonda della sua maestra: “È stata una donna che ha dedicato tutta se stessa alla scuola e all’insegnamento rinunciando alla vita privata….ci ha dato delle basi molto solide, nozioni fondamentali e un validissimo metodo di studio, inculcandoci l’amore per lo studio, il senso del dovere e del rispetto”.
Ancora ricordi di Franco Segre, Maurizio Piperno Beer, Silvia Sacerdote, Pietro Jarre, Guido Avigdor, Andrea Deregibus, Massimo Segre, tutti coordinati da Vittorio Bestoso, ma anche qualche serrata critica a taluni metodi o distinzioni tra allievi, tra gli interventi del pubblico, dopo una riflessione di Daniel Fishman, autore del recente volume “Le classi invisibili. Le scuole ebraiche in Italia dopo le leggi razziste (1938-1943)”.

(17 novembre 2020)