Censura

Il 5 novembre scorso è avvenuto un fatto inedito nella storia della comunicazione e del giornalismo USA: i principali network televisivi (Abc, Cbs, Nbc) hanno interrotto la diretta del discorso in cui il Presidente Trump denunciava brogli ed elezione falsate. Altri (CNN e Fox) hanno, invece, accompagnato il discorso con la scritta in sovrimpressione “Senza prove”. A questi si aggiunge la rimozione di molti post di Trump da parte di Twitter, la piattaforma attraverso cui ha costruito gran parte del consenso elettorale degli ultimi anni. Alcuni giornalisti (vedi Federico Rampini su Repubblica) hanno parlato di censura, rafforzandosi nella convinzione, del resto anche vera, che Trump ha contro tutto l’establishment informativo legato al vecchio potere politico. Ma davvero possiamo vederla in modo così superficiale? Davvero oggi possiamo usare queste categorie nella stessa maniera in cui le usavamo nell’era pre-internet? Negli ultimi anni molti politici hanno utilizzato i social network per promuovere tesi che non avrebbero avuto spazio nei media tradizionali, in quanto a chiara impronta polically uncorrect, quando non decisamente razzista. Un modo per lisciare il pelo alla frustrazione e alla rabbia di un elettorato emarginato, che più di tutti ha subito le crisi degli ultimi anni. Di questa poderosa macchina di propaganda ha fatto parte l’ormai noto armamentario di fake news, che ha spostato talmente avanti l’asticella della comunicazione politica da mettere in crisi la distinzione vero/falso, che è pilastro fondamentale di una democrazia che voglia mettere a disposizione dei propri cittadini dati che consentano una scelta consapevole. Il sistema si è trovato in forte imbarazzo di fronte all’escalation incontrollata di notizie false rilanciate da account falsi orchestrati ad arte da sapienti, pagati e cinici spin doctors. Un sistema informativo centrato sulla libertà d’espressione ha così visto ritorcerglisi contro quella stessa libertà di cui è stato un baluardo. Come reagire? Negli anni si sono cominciati a sviluppare piccoli anticorpi: marchi degli utenti o delle piattaforme stesse che bollino le notizie come non comprovate o non veritiere, una controinformazione di altri gruppi organizzati o agenzie varie per smascherare le false informazioni. Il 5 novembre, però, ha avuto tutta l’aria di un blocco concordato che ha coinvolto i media tradizionali e quelli emersi negli ultimi anni. Definire questo gesto una censura significa avere un’immagine davvero ingenua della democrazia e non aver compreso i mutamenti imposti al sistema democratico dalla rivoluzione tecnologica dell’ultimo ventennio. La democrazia è difesa della libertà, che non coincide con un laissez faire, ma con la salvaguardia di quelle distinzioni che consentano ad ogni individuo di orientare in modo consapevole la propria coscienza. Impossibile che qualcuno, se non in totale malafede, non abbia capito che la democrazia stava (e sta) subendo la vecchia tecnica di battaglia del cavallo di Troia, dove il pericolo sgorga dalla tua stessa pancia. È chiaro che tutti i valori emersi dalla Rivoluzione francese vanno oggi rimodulati e ridefiniti affinché siano protetti sul campo, non sulla carta. Il 5 novembre, creando un precedente davvero unico, rischia di essere una data spartiacque della storia democratica.

Davide Assael