Mozart
a Theresienstadt

Nell’indimenticabile allestimento dell’opera Der Kaiser von Atlantis di Viktor Ullmann prodotto nel 2010 a Barletta e diretto da Paolo Candido (unico allestimento basato sugli originali e addenda autografi dell’opera scritta ma mai allestita a Theresienstadt), nel momento in cui la Morte arriva al cospetto dell’imperatore Overall nell’ultima scena, più di uno spettatore mi confessò a fine spettacolo di aver provato un effetto allucinatorio di vita sospesa; personalmente, provai la medesima sensazione quando Guglielmo da Baskerville e Adso da Melk entrarono nella stanza segreta della biblioteca durante la lettura giovanile de Il Nome della Rosa di Umberto Eco.
La letteratura teatrale è piena di momenti nei quali la combinazione musica–scena–intreccio arriva a snodi psicologici capaci di togliere il fiato al pubblico e gelargli il sangue; chi non ha mai provato un tuffo al cuore quando, nel terzo atto dell’opera verdiana, Rigoletto ode in lontananza il Duca di Mantova cantare a mezzanotte La donna è mobile e si chiede con terrore chi sia stato messo nel sacco consegnatogli da Sparafucile scoprendo che nel sacco c’è sua figlia Gilda anziché il Duca?
Non sfugge né è casuale il parallelismo tra la Morte che compare dinanzi al Kaiser e la statua del Commendatore che irrompe sulla scena – preceduto dall’urlo di uno spaventato Leporello – nel secondo atto del Don Giovanni di W.A. Mozart.
Don Giovanni non si pente delle sue malefatte libertine e tiene testa al Commendatore infuriato che, scomparendo dalla scena, lascia il campo libero a demoni che inghiottono l’anima di Don Giovanni trascinandola all’inferno come nel finale del film Ghost (Jerry Zucker, 1990); nel Der Kaiser l’imperatore Overall riconosce l’errore di aver allontanato la Morte dal proprio regno ma proprio in quel momento cade nella trappola della Morte che chiede in cambio proprio l’anima di Overall.
Il finale de Der Kaiser con il soldato Bubikopf, l’Altoparlante, Arlecchino e Tamburino che intonano l’irenico corale Komm Tod, du unser werter Gast ha una plastica similitudine con il mozartiano, meraviglioso Contessa perdono nell’atto finale de Le Nozze di Figaro; entrambi arrivano all’apice di complessi intrighi, nell’opera di Mozart il corale prelude a un festoso matrimonio tra Figaro e Susanna, nell’opera di Ullmann il corale prelude a uno sciagurato divorzio tra il genere umano e il Regno di Overall che, come il Lucifero dantesco, stritolerà uomini e loro figli con denti e artigli.
Asburgici di scuola e tradizione viennese, Mozart e Ullmann erano artisti affascinati da ciò che è nascosto alla maggior parte degli uomini (l’uno era massone, l’altro seguace dell’antroposofia), non si accontentarono di scrutare il futuro musicale ma lo resero presente accelerando vertiginosamente la bobina del tempo; mi piace pensare che Mozart abbia lasciato per qualche tempo i mondi superiori e abbia fatto visita a Ullmann presso Theresienstadt.
Mozart fu condannato a morte in effigie dalla sua Loggia per aver rivelato segreti massonici nella sua opera Die Zauberflöte, in un certo senso si condannò a morte da solo; nella realtà morì – secondo i più recenti studi – di insufficienza renale ma la sua morte in effigie (altresì raffigurata dalla sua ultima opera, il Requiem K626) è paradossalmente più tragica, problematica della morte reale.
Ullmann fu trasferito a Birkenau perché si rifiutò di cambiare il libretto della sua opera ed espungere i pesanti riferimenti al Führer e al Reich, in un certo senso anche lui si condannò a morte da solo; qui terminano i paragoni data l’impossibilità di trasmettere il senso dell’atrocità della sua morte.
Siamo dinanzi a geni completi, universali e fiduciosi in un mondo migliore illuminato dalla Bellezza, governato dal senso della più alta democrazia che scaturisce dal Bello assoluto.
Nel suo monologo finale de The Great Dictator – film che riporta diciture di nomi e insegne dei negozi nella lingua universale per eccellenza ossia l’esperanto – Charlie Chaplin, barbiere ebreo nelle vesti di Adenoid Hynkel (foto), dice: “L’avidità […] ha fatto precipitare il mondo nell’odio, ci ha condotti a passo d’oca a far le cose più abiette […] abbiamo i mezzi per spaziare ma ci siamo chiusi in noi stessi, la macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà […] più che macchinari ci serve umanità”.
Sono parole inquietanti, eppure un musicista legge qualsiasi cosa su righi e chiavi diverse; il barbiere ebreo ha sconfitto il dittatore e lancia il suo proclama a combattere per “un mondo ragionevole”.
Come dice Jorge Luis Borges, “il buon senso salverà il mondo”; magari sull’aria di Papageno de Die Zauberflöte o sulle note del Tamburino del Kaiser che canta Deutschland über alles in modo minore.
L’unico modo per sconfiggere il male è irriderlo, schernirlo; parola di Mozart e Ullmann.

Francesco Lotoro