Periscopio – Irresponsabilità presidenziale

Vedere la prima potenza del mondo, che tiene nel cassetto migliaia di ogive atomiche pronte per l’uso, ridotta al livello dell’ultima delle repubbliche delle banane, con due Presidenti che rivendicano entrambi il potere, è una cosa francamente sconcertante, che non può non suscitare la più profonda preoccupazione per il futuro.
Con uno scarto di circa quattro milioni di voti, tutti i capi di stato e di governo del mondo che hanno fatto le congratulazioni al vincitore delle elezioni, quasi tutti i leader del Partito repubblicano che hanno riconosciuto il chiaro esito della competizione elettorale, gran parte dell’agguerritissimo team di avvocati trumpiani che ha gettato la spugna, il Presidente uscente continua disperatamente a resistere, a dire che non ci sta, che è tutta una truffa.
Questo comportamento è francamente di una gravità assoluta, e denota il più completo disprezzo per le più elementari regole di quella democrazia che ha fatto l’America, come Trump ama dire, “great”. La cosa assurda è che il Presidente uscente aveva già detto molte volte, prima delle elezioni, che egli non ama perdere, e che non avrebbe riconosciuto l’esito delle elezioni, qualora a lui sfavorevole. Le denunce dei brogli sono cominciate molto tempo prima che si cominciasse a votare, e da mesi era in atto una martellante campagna di criminalizzazione del voto per posta – in uso da decenni in tutti gli Stati della Federazione -, denunciato come truffaldino, e solo perché si sapeva che tra gli elettori democratici sono molti di meno i ‘negazionisti’ del Covid, che invece dilagano tra le truppe trumpiste, per cui molti, in quel campo, hanno scelto, responsabilmente, di votare per posta, per ridurre i rischi alla salute propria e degli altri.
Un simile livello di irresponsabilità è davvero inquietante. Il Presidente uscente ha raccolto più di 70 milioni di voti, che è un numero enorme. Mi sono sempre rifiutato, pur nella profonda antipatia per l’attuale Presidente – che pure ho sinceramente ringraziato per alcune scelte coraggiose in difesa di Israele: ringraziamento che ribadisco, così come ribadisco la più ferma condanna per le sue strizzate d’occhio alla feccia nazistoide e suprematista che appesta gli Stati Uniti -, di bollare tutte queste persone come reazionarie e razziste, così come so bene che tra i sostenitori di Biden non mancano elementi discutibili. Il bene e il male non si dividono con l’accetta in una persona, figuriamoci in un popolo di centinaia di milioni di cittadini. Ma cos’altro è, la democrazia, se non un delicato meccanismo di assegnazione di compiti e responsabilità, sulla base del presupposto che chi vince non è migliore di chi perde, perdere non è umiliante, chi perde non diventa un prigioniero, anche le minoranze hanno un ruolo importantissimo, chi vince e governa lo fa per tutti, senza alcuna distinzione? O forse la chiave delle elezioni serve solo per entrare nella stanza dei bottoni, ma mai per uscirne? Ma che razza di gioco è questo?
Immagino la possibile obiezione di qualcuno che potrebbe rivendicare il diritto di Trump di ottenere un controllo della validità del voto espresso. E io risponderei che il problema non è assolutamente questo. Certo che Trump ha questo diritto, anche se la sua sconfitta appare chiara come il sole. Lo chiese Bush jr. contro Gore, le schede furono ricontate in Florida, Bush vinse per soli 537 voti di scarto, Gore gli fece subito le congratulazioni e Bush governò tranquillamente per otto anni. Figuriamoci cosa avrebbe fatto, in un caso analogo, al posto di Gore, Trump!
Ma Trump non vuole il riconteggio per vedere chi ha vinto, vuole una cosa leggermente diversa: vuole il riconteggio affinché si dimostri che ha vinto lui, perché ogni diverso esito è truffaldino. Comunque vada, per lui Biden sarà un Presidente abusivo. E, contro un usurpatore, sarebbe legittimo anche usare la violenza, per ripristinare la libertà in un Paese oppresso dalla tirannide. Ora, se teniamo conto che settanta milioni di americani hanno votato per Trump – elettori verso i quali confermo il mio pieno rispetto -, e se ipotizziamo che anche solo uno su mille di loro sia disposto a passare dalle parole ai fatti, per restituire al Paese la democrazia rubata, potremmo pensare ad almeno settantamila Lee Oswald intenti a rimuginare, in questo momento, su quando agire per ripristinare la legalità rubata, e tornare così a rendere “America great again”. La cosa non preoccupa nessuno?

Francesco Lucrezi