Ticketless – Edera e violette

Il gesto di protesta di Lisa e Anita, le due ragazzine della Scuola media Italo Calvino di via Sant’Ottavio a Torino, merita un commento. Mai nome di scuola è stato così appropriato! Il voler manifestare il proprio disappunto per la decisione di chiudere la scuola sarebbe piaciuto a Calvino. Mascherina sul volto, dal marciapiede di fronte all’ingresso della scuola, seguono la lezione con il tablet.
Hanno la grazia di Viola, la ragazzina di cui si innamora Cosimo nel ‘Barone rampante’. La prof (o il prof) al caldo, loro con il giaccone al freddo, ferme nel loro serio proposito. Questo gesto di protesta va moltiplicandosi in altre scuole del paese e adesso le cronache mi dicono che accorrono anche (finalmente!) professori e professoresse. C’è da rallegrarsi, più che del tanto, forse troppo lodato risveglio delle sardine. Queste ragazzine mi ispirano simpatia: chiamerei Edera il loro gesto spontaneo, che potrebbe dare vita a un piccolo movimento di ribellione. Il mondo può essere salvato dai ragazzini, diceva la Morante. Sono foglie calviniane di un albero rampicante che spero possa crescere in fretta. Conosco bene la loro scuola e il quartiere: la loro non penso sia l’espressione di un disagio sociale. Quella scuola non è di frontiera, non sta in periferia alla Barriera di Milano. È frequentata da famiglie benestanti. Mi rallegro lo stesso: attribuisco il gesto all’educazione avuta dai genitori, un sussulto di vita di quella borghesia torinese calvinista, severa, non solo capace di rivendicare diritti, ma anche di ricordare i doveri, una realtà che temevo sparita per sempre.
Verrebbe la tentazione di dare una mano a quelle ragazzine: andare da loro ogni mattina quando suona la campanella. Un gesto sarebbe di obiezione di coscienza: mantenendo come ovvio il distanziamento sociale, fare lezione con loro, leggerei qualche cosa sulla scuola di ieri, quella che si leggeva in riviste come “Nuovi Doveri”, la Fnism di Salvemini e Lombardo-Radice sarebbe solidale con le nostre Violette. Qualche settimana fa ricordavo l’eredità del socialismo riformista e la virtù del ‘pessimismo ottimista’. Notizie come queste fanno bene sperare sul nostro domani. Ricordo il volontariato di maestri e professori sempre provenienti dalla democrazia risorgimentale, socialisti e soprattutto repubblicani (per questo penso all’Edera), che si recavano nelle zone malariche, nell’agro pontino, all’inizio del Novecento, per fare, oggi diremmo, i maestri e le maestre di strada al seguito di Giovanni Cena. Penso alle scuole serali, all’avviamento professionale. Molti di loro erano ebrei socialisti, a suo tempo sottoposti a trasferimento punitivo nell’Italia del sud. Non era una pandemia, la malaria però non scherzava. Eppure la scuola era una frontiera da difendere, una priorità come oggi non è più.

Alberto Cavaglion