Spuntino – Controcanto

“E questa è la discendenza di Isacco figlio di Abramo, Abramo generò Isacco.” Nel primo versetto di Toledòt ci viene ripetuto due volte quanto abbiamo già appreso nei brani precedenti, per enfatizzare che i due patriarchi sono collegati, a monte e a valle, essendo accumunati dagli stessi valori. Rashì allude all’orientamento dei figli che, forgiandosi già durante la gravidanza, dipende molto dalla madre. La differenza principale tra il giusto Giacobbe e l’empio Esaù è che, mentre il primo era “tam” (= integro, coerente) (Gen. 25:27), il gemello Esaù era ambivalente ed ipocrita. Il carattere diverso di Esaù rispetto al fratello si deduce da vari passaggi: (1) ‘il suo nome venivano chiamati’ (“va-yikreù shmò”) con il verbo al plurale (Gen. 25:25) perché aveva molte facce, mentre Giacobbe ‘veniva chiamato’ (Gen. 25:26) al singolare, senza equivoci; (2) Esaù viene descritto con due tratti, “uomo esperto di caccia, uomo campestre” (Gen. 25:27); (3) il segno distintivo del rossiccio Esaù sono le “due” mani. Ma Esaù é destinato a fallire se non riceve il supporto di Giacobbe (che, per ostacolarlo, si era aggrappato al suo tallone). Come si può prevenire dunque questo supporto al male? Il Midrash attribuisce la risposta al versetto “la voce è la voce di Giacobbe e le mani sono le mani di Esaù” (Gen. 27:22). Se la voce è difettosa (come nella prima istanza di voce, scritta “kal” senza la lettera vav invece di “kol”) e viene impiegata ad esempio per maldicenza (Matanot Kehunà su Bereshit Rabbà 65:20) oppure per esprimere pessimismo senza spiragli (Maharzu) allora Esaù può approfittarne intervenendo dannosamente con le sue proprie mani. Ma se la voce è piena e completa, usata per insegnare Torà con ottimismo, le intenzioni maligne di Esaù vengono subito neutralizzate.

Raphael Barki

(19 novembre 2020)