Insieme fuori
dallo spazio e dal tempo

A scuola tutto è (giustamente) fisso e ben regolato: ogni classe ha il suo link, ci si connette secondo l’orario prestabilito, si fa l’appello, si parla, ci si confronta, si discute, si ride e si scherza, e poi ci si saluta dopo 50 minuti esatti come se fosse suonata la campanella. Le differenze tra la didattica a distanza e quella in presenza, per chi lo vuole, non sono così significative come sembrerebbe da alcuni interventi apparsi su queste colonne (che francamente mi hanno molto addolorato per la mancanza di generosità con cui hanno liquidato in poche parole sprezzanti la didattica a distanza e con essa l’impegno quotidiano di migliaia di insegnanti). D’altra parte, se io ho scoperto l’acqua calda solo pochi mesi fa, ci sono altri ambiti lavorativi in cui le riunioni a distanza sono la pratica quotidiana da anni. E anche in ambito ebraico non sono nate certo negli ultimi mesi, anche se ultimamente sono cresciute in modo esponenziale e hanno coinvolto un numero crescente di persone. Si trattava comunque, nella maggior parte dei casi, così come accade nel mondo della scuola, di uno spazio virtuale che replica uno spazio reale: la classe, l’aula magna, la sala dove si riunisce il consiglio o l’assemblea della comunità, ecc.
Capita però a volte – e mi pare che capiti sempre più spesso perché le nostre abitudini stanno mutando – che lo spazio virtuale si dilati fino a scomparire, mentre cadono non solo le barriere tra città, paesi e continenti, ma anche la nostra stessa percezione di queste barriere: pian piano ci stiamo abituando all’idea che un qualunque evento possa coinvolgere chiunque in qualunque parte del mondo. Ieri sera, per esempio, il Limmud in ricordo di Aldo Zargani ha coinvolto non solo romani e torinesi (come è normale per un torinese trapiantato a Roma) ma anche persone che sono intervenute da Israele e dall’Australia, in un intreccio di ricordi davvero commovente.
A volte con le barriere spaziali cadono (per lo meno soggettivamente) anche quelle temporali: ci ritroviamo a partecipare ad eventi a cui partecipano persone che non vedevamo da anni o magari da decenni, volti che sembrano riemergere da una nostra vita precedente. Non solo si annullano le differenze tra Torino, Milano, Roma, Firenze, Israele, Stati Uniti, Australia, ecc. ma anche quelle tra adulti, giovani e anziani: nella nostra testa sembrano rimescolarsi movimenti giovanili, gruppi e organizzazioni che abbiamo frequentato in momenti diversi della nostra vita.
Non si può dire che con le barriere spaziali e temporali cadano anche quelle ideologiche; e non sarebbe neppure un bene se ciò accadesse. Ma per lo meno la caduta delle barriere fisiche facilita i contatti. Domenica scorsa, per esempio, l’evento dal titolo “Zoom su Israele” organizzato dal Gruppo di Studi Ebraici di Torino ha visto la partecipazione di persone (come si è visto dai commenti espressi nella chat) con idee diametralmente opposte tra loro sulla politica israeliana e americana. Persone che avrei fatto davvero fatica a immaginare riunite nella stessa sala (se non per urlarsi addosso) hanno partecipato insieme allo stesso evento virtuale. Certo, hanno partecipato protestando, contestando la scelta degli oratori, esprimendo giudizi sarcastici, ecc. Ma hanno pur sempre partecipato. E dunque sarebbe bello immaginare che questi incontri virtuali fuori dallo spazio e dal tempo possano contribuire a ricreare un’abitudine al dialogo e al confronto che negli ultimi anni pare essersi smarrita (se mai c’è stata). In fin dei conti è meglio incontrarsi e litigare che non incontrarsi affatto.

Anna Segre