L’immenso edificio
del ricordo

Il problema del rapporto fra passato e presente è soltanto uno degli aspetti della dialettica fra percezione e realtà: “The past is a foreign country: they do things differently there.” (L. P. Hartley, The go – between, 1953); “The past is everywhere” (David Lowenthal, The past is a foreign country, 1985); “Why do we change the past?”(id); “Mais, quand d’un passé ancien rien ne subsiste, après la mort des êtres, après la destruction des choses, …..à porter sans fléchir …….. l’édifice immense du souvenir” (Marcel Proust, Du Côté de Chez Swann, Combray).
L’ossessione per la memoria, nei versanti più profani, si lega al culto per la Storia che Paul Johnson attribuisce agli ebrei, il quale esordisce prendendo atto della specificità ebraica: “The Jews created a separate and specific identity earlier than almost any other people which still survives. They have maintained it, amid appalling adversities, right up to the present” (A History of the Jews, 1987). Non a caso Chanukkah ha per oggetto la lotta per la specificità ebraica, che talvolta viene vista come oscurantista e, segnatamente, come un ostacolo alla convivenza, come al tempo degli ebrei ellenizzanti, quando l’ebraismo fu messo fuori legge; eppure, poco o nulla resta della civiltà greca, mentre quella ebraica è quanto mai viva ed attiva. Non vi è modo migliore di festeggiare Channukah che studiarne il contenuto. Se il passato è una terra straniera, rendiamogliene visita.

Emanuele Calò, giurista

(24 novembre 2020)