Periscopio – L’incertezza del presente
Grande successo – in tema di ampiezza della partecipazione, qualità delle relazioni e degli interventi, interesse e risonanza – ha incontrato il 31° Congresso Nazionale della Federazione delle Associazioni Italia-Israele, svoltosi, purtroppo, per le perdurante emergenza sanitaria, a distanza. Di ciò va dato merito al Presidente (Giuseppe Crimaldi) e al Consiglio Direttivo della Federazione, a tutte le Associazioni di amicizia sparse per l’Italia e a tutti coloro che, a vario titolo, si sono prodigati per la buona riuscita dell’importante iniziativa.
Come ogni anno, anche stavolta, dall’insieme dei contenuti delle varie relazioni e dei vari interventi (tutti di alto interesse: ricordiamo soltanto, per la particolare intensità dei contenuti, le parole pronunciate dall’Ambasciatore di Israele in Italia, Dror Eydar, e dal diplomatico e funzionario del Keren ha-Yesod Yosh Amishav), si è avuta l’opportunità di fare il punto sullo stato della situazione presente e sulle opportunità e le incognite del futuro, e non soltanto riguardo agli specifici problemi dello Stato ebraico, o dello scacchiere mediorientale, ma, più in generale, relativamente al complessivo scenario politico mondiale. E, se si volesse provare a sintetizzare in una sola parola, o, addirittura, in un solo simbolo, la prevalente, generale percezione del momento attuale, e del possibile o ipotizzabile futuro, credo che la parola più adatta sia “incertezza”, e il simbolo un bel punto interrogativo. Perché, se ci sono stati indubbiamente, in passato, dei momenti di generale ottimismo o pessimismo, credo che il sentimento più diffuso, in questi giorni così particolari, sia quello della sospensione del giudizio nei confronti di un presente così imprevedibile, e di un futuro così enigmatico.
Non c’è dubbio, infatti, che questo 2020 abbia riservato delle sorprese assolutamente inimmaginabili.
Innanzitutto, il flagello del Covid, che, colpendo, indifferentemente, pressoché tutte le nazioni del pianeta, ha creato, da una parte, una sorta di solidarietà della sofferenza, e, dall’altra, una specie di competizione tra i vari Paesi, chiamati a confrontarsi, gli uni con gli altri, in un’inedita gara su chi meglio riesca a fronteggiare il nuovo, invisibile nemico. Una gara che sembra avere creato un’assurda e surreale contrapposizione tra difensori e detrattori della scienza (con i ‘negazionisti’ del virus assurti a un paradossale ruolo di protagonisti, con una incredibile folla di seguaci), e nella quale Israele, dopo un primo momento di apparente successo, pare avere subito dei gravi arretramenti. Come andrà a finire?
Poi, l’allacciamento, assolutamente imprevedibile, di normali relazioni diplomatiche tra Israele e diversi stati arabi: un fatto duraturo, un fenomeno destinato a mettere radici e ad allargarsi? Chi può mai dirlo?
E ancora, il superamento della lunga crisi politica in Israele, con il raggiungimento di un governo di coalizione che sembra, a quasi tutti, fondato sulla più assoluta mancanza di fiducia tra i partner. Durerà? E quanto?
Aggiungerei poi, ma come fatto assolutamente negativo, una grave crisi nella società israeliana, che appare divisa non solo – cosa normale e fisiologica – per le diverse visioni politiche e ideologiche, ma anche sui valori di fondo, sulla stessa concezione della democrazia, della giustizia e dello stato di diritto. Su questo piano, il processo in atto a carico del Premier in carica sembra non tanto la causa della divaricazione, ma la mera occasione di manifestazione di una spaccatura che pare avere radici ormai profonde, e che non sarà facile – qualunque sia l’esito della vicenda giudiziaria – ricucire. Che dei magistrati debbano girare sotto scorta è una cosa estremamente avvilente e preoccupante.
Infine, l’esito delle elezioni americane, e le aspre polemiche alle stesse seguite. Finora, se le campagne elettorali avevano sempre diviso, le elezioni avevano invece unito. Ora, invece, no, l’America appare lacerata da una contrapposizione piena di rabbia, rancore, livore, e buona parte della sua popolazione pare avere dimenticato i valori scolpiti nella Dichiarazione di Indipendenza e nella Costituzione. Più che chiedersi chi, tra i due candidati, sarà o sarebbe stato più amico di Israele, la domanda più importante, secondo me, è un’altra. A Israele conviene che l’America continui a essere saldamente ancorata ai valori democratici pensati dai suoi “Founding Fathers”, e poi rafforzati da tante generazioni di americani (in nome dei quali essa ha difeso, tante volte, il piccolo alleato), o quei valori sono ormai da archiviare?
Ma dove stanno andando, dove andranno, Israele, l’America, l’Europa, il mondo? Tanti punti interrogativi, tante possibili risposte. Ma piace concludere con le parole finali della relazione dell’Ambasciatore (giustamente definita da Crimaldi una vera “lectio magistralis”): “la storia ha una caratteristica interessante: va dove vuole, senza chiedere il permesso a nessuno”.
Francesco Lucrezi, storico