Retorica e realtà

Eppur si muove! Alla fine sembra essersi rassegnato anche Donald Trump, è iniziata la transizione verso la nuova amministrazione statunitense di Joe Biden. La cosa ha creato non poche preoccupazioni negli ambienti ebraici, anche italiani a quanto pare da una scorsa sul web. Il sillogismo è un po’ schematico, ma funziona così: Trump era amico di Israele, Biden è nemico di Trump, Biden è contro Israele. Appunto semplificazioni. Cerchiamo di chiarire in estrema sintesi alcuni punti. 1) Biden non toccherà minimamente gli Accordi di Abramo che si spera contribuiranno a stabilizzare il Medio Oriente, rafforzando alleati storici degli USA. Tenterà, piuttosto, di coinvolgere in qualche modo l’Iran, facendosi forza della sua partecipazione allo storico accordo voluto da Obama. Già i nomi della sua squadra fanno pensare che questa sarà la direzione. Che ci riesca è tutto da vedere. E non tanto per l’ostilità di Israele, ma per quella del’Arabia Saudita. Trovare un punto di sintesi tra Riad e Teheran è davvero cosa da mission impossible. 2) Proseguirà sulla strada del piano israelo-palestinese di Trump, che era tutt’altro che irrazionale e che chiedeva molte concessioni ai partiti religiosi israeliani. Anche qui la novità potrebbe essere la maggiore credibilità che la sua figura ha nel recinto palestinese, dove va assolutamente sanata una frattura che sacrifica qualunque possibilità di accordo ad una lotta egemone tutta interna a quel fronte. Ricomporre i palestinesi è cosa assai ardua, ma meno mission impossible che mettere insieme sauditi e iraniani. 3) La sua amministrazione non sposterà l’ambasciata da Gerusalemme. Non si capisce proprio perché dovrebbe farlo. Piuttosto tenterà di costruire un piano che riveda in senso bi-partisan (termine assai sbrigativo) lo status di quella città.
Discorsi, tra l’altro, assai noti da tempo. Si profila, dunque, più una continuità che una discontinuità con l’amministrazione precedente. Così, credo, anche su altri dossier bollenti, a cominciare dal rapporto con la Cina. La vera differenza la farà l’abbandono di una prospettiva unilateralista, che si fondava su un becero nazionalismo e su un linguaggio palesemente razzista, infiammando la politica interna e rivelatasi sterile nei confronti dell’esterno. Basta vedere i dati del commercio USA per capire che le aziende che dalla Cina sono «tornate a casa» si contano sulle dite delle mani e che la politica dei dazi ha anzitutto punito le companies statunitensi. La retorica serve a prendere voti, ma finisce sempre con l’infrangersi sulla realtà.

Davide Assael