Il silenzio su Israele
In un intervento su la Repubblica di lunedì 23 novembre (“Biden-Starmer e i progressisti italiani”) il leader del Pd Nicola Zingaretti esprime la propria soddisfazione sia per l’elezione del nuovo presidente americano che per la scelta di un nuovo leader del Partito laburista britannico indicando anche tutta una serie di punti programmatici sui quali ci può essere una convergenza tra le posizioni del Partito democratico e quelle dei laburisti e dei democratici americani. Non entro nel merito dei punti esposti sui quali si può essere anche d’accordo, magari limando un po’ la patina ideologica che non manca mai nel linguaggio dei dirigenti che provengono dal PCI. Ma non si può non rilevare una “dimenticanza”, quella relativa al Medio Oriente, che poi significa soprattutto quella dei rapporti con Israele.
Biden è un leader che in tutta la sua carriera politica è stato costantemente amico di Israele e non ha mancato in varie occasioni di manifestarlo. Si può ragionevolmente presumere che la politica americana verso Israele quale si è andata strutturando negli ultimi quattro anni non subirà sostanziali modifiche; sarà certamente usato un linguaggio diverso, perché Biden non è Trump – e questo non è male – ma la sostanza rimarrà immutata, il sostegno a Israele resterà un punto fondamentale della politica estera degli Usa, l’ambasciata americana resterà a Gerusalemme, proseguirà il sostegno alla politica di reciproco riconoscimento tra lo Stato ebraico e gli Stati arabi, anche perché si tratta di una politica che viene portata avanti in autonomia dal governo israeliano e da quelli arabi interessati; sull’Iran ci sarà probabilmente un cambiamento di linguaggio, ma Biden sa benissimo che lo Stato degli ayatollah resta il principale pericolo per l’equilibrio del Medio Oriente.
Per quanto riguarda Starmer, una delle sue principali preoccupazioni appena divenuto leader del Labour Party è stato quella di condurre una lotta decisa contro tutte le forme di antisemitismo che si erano fatte strada nel partito e che avevano trovato copertura in Jeremy Corbyn. Antisemitismo che significava in primo luogo odio contro Israele, come d’altra parte avviene un po’ dappertutto. Quanto decisa sia stata in questa direzione la lotta di Starmer lo dimostra la recente decisione di escludere Corbyn dal gruppo parlamentare laburista.
A fronte di queste chiare linee politiche dei leader progressisti americano e britannico, quale è la politica del Partito Democratico? Non credo di esagerare dicendo che la stessa parola “Israele” è pressoché tabù in quell’ambiente e se viene pronunciata è solo per condannare lo Stato ebraico per le sue presunte colpe nei confronti dei palestinesi. In realtà non mancano nel Pd figure anche rilevanti, sia a livello nazionale che locale, che hanno nei confronti di Israele una posizione radicalmente diversa; ma le loro voci non si odono, anzi sono soffocate nel generale conformismo. Si sentono invece, e con grande strepito, le voci di organizzazioni come l’Arci e l’Anpi (in quest’ultimo caso con la felice eccezione di Milano) che sono diventate il ricettacolo del peggior estremismo antiisraeliano e da dove partono le iniziative a favore del Bds, il movimento che promuove il boicottaggio economico, e non solo, dello Stato ebraico. Arci e Anpi non sono strutture del Pd, è vero, ma sono espressioni di quella sinistra diffusa che alla fine trova soprattutto nel Pd la sua espressione politica e parlamentare. D’altra parte l’ostilità verso Israele trova una manifestazione ufficiale nei voti espressi dal governo italiano, di cui il Pd è un sostegno essenziale, nelle votazioni dell’Assemblea generale dell’Onu, e dove la delegazione italiana vota costantemente contro Israele, anche sulle questioni nelle quali potrebbe senza fatica fare una sforzo di autonomia. Particolarmente odioso è il periodico voto, confermato anche pochi giorni fa, a proposito della denominazione da usare nei confronti del luogo di Gerusalemme che per gli ebrei è il Monte del Tempio, per il quale è ammessa la sola denominazione araba (Haram al-Sharif), a significare il rifiuto del riconoscimento di ogni legame non solo con la tradizione ebraica ma anche con quella cristiana: se quel luogo diventa sacro solo con la conquista islamica, dove è andato il bambino Gesù a discutere con i sapienti e da dove lo stesso Gesù ha cacciato i mercanti?
Il silenzio del leader del Pd su queste questioni toglie forza alla sua volontà di unirsi a Biden e a Starmer in uno schieramento progressista mondiale. Apra perciò, come ha fatto Starmer, un dibattito sulle forme di antisemitismo che sono presenti nel Pd sotto forma di antisionismo, di odio verso Israele. Sarebbe un’esperienza salutare che porterebbe alla luce posizioni che finora sono di fatto costrette al silenzio. E sarebbe un dibattito e una riflessione tanto più salutare perché altrimenti sembra che in Italia le uniche forze politiche vicine a Israele siano quelle di destra. Della recente vicinanza a Israele delle forze politiche sovraniste non ci si dovrebbe d’altra parte lamentare perché ogni revisione delle posizioni antisemite che storicamente hanno caratterizzato una parte della destra italiana non può che essere salutata favorevolmente; ma non si deve nemmeno dimenticare che ancora oggi esistono tra le posizioni della destra sovranista e alcuni gruppi dell’estrema destra pericolose contiguità che richiedono anch’esse di essere recise.
Valentino Baldacci
(26 novembre 2020)