Spuntino
Perpetua polvere

La parashà (anzi, la sidrà, come sarebbe più corretto indicare ogni brano della Torà che si legge settimanalmente) di VaYetzè è tutta d’un pezzo, senza pause o interruzioni (che in un Sefer Torà appaiono come uno spazio di nove lettere lasciato in bianco), le stesse che ricorrono invece piuttosto regolarmente nel Testo in altre parashòt (sdaròt!). Una possibile spiegazione è che questo blocco monolitico allude al fatto che Giacobbe rimase ermeticamente assorto nello studio della Torà (per 14 anni) senza distrazioni. Un’altra, sempre legata alla precedente, si riferisce all’imperscrutabile mistero che da secoli tiene in piedi il popolo ebraico. Si tratta di un fenomeno assolutamente inesplicabile senza tirare in ballo l’intervento divino. Non a caso proprio questa settimana leggiamo delle origini di Israele con la nascita dei capostipiti delle dodici tribù. Torniamo all’inizio, VaYetzè, e uscì. Giacobbe lascia la casa paterna anticipando le sorti dell’esilio, della diaspora, del popolo ebraico. Lo fa serenamente anche se la minaccia di Esaù incombe. Il patriarca riesce a dormire sulle pietre del Monte Moriyà perché si trova a suo agio. D’altra parte il migliore materasso non garantirebbe sonni tranquilli a chi non è in pace con se stesso, con gli altri e con l’Onnipotente. Dal suo sogno apprendiamo che per elevarsi (e far salire in alto la preghiera) bisogna appoggiare saldamente la scala per terra, prendendo innanzitutto consapevolezza della propria nullità. Ma per emergere meritevolmente bisogna anche saper rinunciare, cercare il compromesso, allontare la scala dalla parete, prendere le distanze nello spazio e nel tempo, riflettere prima di assumere una posizione, agire o reagire. Bisogna sapere quando salire (nella spiritualità!) e scendere (nella materialità!). Il Ba’al HaTurim osserva che il valore numerico (136) di scala in ebraico (“sulàm”) é lo stesso di soldi (“mamòn”) ma anche di povertà (“‘òni”) perché le sorti possono cambiare, anche in funzione di come investiamo le nostre risorse. Come mai nel sogno di Giacobbe la sua discendenza é paragonata alla polvere della terra? Perché, anche se normalmente viene calpestata, il suo destino ultimo é quello di ricoprire tutto e tutti. E non c’è niente di resiliente come la polvere, è l’unica cosa che non può essere … ridotta in polvere!

Raphael Barki

(26 novembre 2020)