Memoria e Memorie
La Carta della Memoria è una nuova lodevole iniziativa voluta da Gabriele Nissim e da Gariwo, l’associazione che da decenni promuove la realizzazione di giardini dei giusti. In un momento di transizione come quello che stiamo vivendo, in cui la riflessione sulla funzione della memoria della Shoah si confronta con il tramonto dell’era della testimonianza e con il prepotente riemergere di espressioni di antisemitismo e più in generale con la diffusione del linguaggio d’odio, è importante fissare alcuni criteri attorno a cui sviluppare un percorso virtuoso. Un itinerario che andrà ad interessare non solo iniziative pubbliche, ma anche in maniera decisiva un impulso prioritario a tutto ciò che riguarda l’ambito pedagogico. L’educazione delle nuove generazioni, i programmi scolastici, devono di necessità confrontarsi con il tema dello sterminio degli ebrei in Europa, che fa da perno a una più generale riflessione sui principi etici che governeranno il mondo nel prossimo futuro. La conoscenza delle motivazioni storiche, sociali, economiche e politiche che condussero all’eliminazione industriale di milioni di ebrei è un dato di partenza fondamentale. Lo è per svariate ragioni, tutte valide, al punto da aver spinto le istituzioni a fissarle nelle numerose leggi che hanno riconosciuto nel mondo il 27 gennaio come data in cui ricordare e riflettere su quei terribili accadimenti. Il dibattito filosofico ha affrontato il tema con intensità, proponendone diverse letture. A me pare che l’elemento fondamentale, che fa della Shoah il paradigma comunemente riconosciuto, risieda nel fatto che in quei momenti è stata messa a nudo la natura umana. Analizzando i comportamenti dei persecutori, delle vittime e dei cosiddetti “spettatori” (suona meglio nell’inglese bystanders), sulla base di una documentazione storica assai precisa (con buona parte dei negazionisti) oltre che sulle numerosissime testimonianze raccolte, si sono andati manifestando di fronte ai nostri occhi una serie di paradigmi comportamentali con i quali tutti noi dobbiamo fare i conti. Nulla di simile era accaduto mai prima, e quel che è sfortunatamente accaduto dopo, con i numerosi episodi di sterminio e persecuzione che si sono via via succeduti nella storia, è valutabile solo attraverso la lente della Shoah.
La Carta della Memoria proposta da Gariwo e sottoscritta da numerosissime personalità provenienti dalla società civile riconosce questa prospettiva e pone una questione culturale di fondo: identificare le modalità migliori che ci aiutino a far rispettare anche nel futuro il monito etico che tanti fra i testimoni hanno voluto ricordarci, quel “mai più” che sembra essere stato messo in crisi dalla storia e che minaccia di tramontare se non si attivano nuove e inedite modalità di riflessione.
In queste ore c’è chi ha voluto vedere in questa iniziativa ipotetici annacquamenti della memoria della Shoah nel porla in relazione con le altre grandi tragedie umane che la storia ci propone di continuo. Sono addirittura risuonate velate accuse di negazionismo. A me pare che questa critica sia ingiusta e un po’ miope. Chi la muove non ha saputo cogliere lo spirito che anima chi quella carta ha condiviso e sottoscritto: costruire nuovi ed efficaci percorsi educativi su un paradigma etico imprescindibile che solo la Shoah, con la sua storia e la sua enormità, può rappresentare. In questi giorni è in corso (online) la riunione plenaria dell’IHRA, nella quale ci si interroga proprio sui modi corretti per contrastare la distorsione e la negazione della Shoah. Nel corso della riunione del comitato che si occupa di antisemitismo Yehuda Bauer è intervenuto con parole nette e inequivocabili. “Il nostro compito – ha affermato – è quello di dire la verità sull’Olocausto”. Solo così saremo in grado di contrastare il riemergere dei negazionismi e di mettere un freno all’uso distorto che della Shoah si fa nel discorso pubblico.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC
(27 novembre 2020)