Oltremare – Castagne

Ieri al mercato ho trovato le castagne. Capisco che questa frase possa sembrare insulsa, in piena stagione di castagne appunto, soprattutto per quanti vivano in nord Italia. Ma qui è abbastanza un evento. Intanto, io ho sempre trovato soltanto quelle di origine turca, e visti i nostri rapporti non esattamente idilliaci con la Turchia ci si domanda com’è che continuiamo imperterriti i commerci con uno stato para-dittatoriale, il cui leader ci detesta nel modo più aperto e rumoroso. Mi son perfino fatta venire un dubbio etico, e vedendo ben due tipi di castagne, uno in rete e uno in vaschetta di plastica ho sperato che uno dei due avesse diversa provenienza. Macché, stesse castagne e stessa etichetta. E pazienza, una volta all’anno compereremo le castagne di Erdogan.
Adesso si pone tutto un altro problema, non etico ma pratico. Avendo abbandonato lo zucchero bianco, mai entrato in casa mia negli ultimi anni, se vorrò fare le cose come si deve dovrò prima passare lo zucchero di canna nel macinino da caffè, in mancanza di un buon vecchio pestello, che a casa mia comunque odorerebbe di basilico e sarebbe inservibile per l’uso attuale. Che è un uso antico, veramente. Perché una volta, quando a tavola arrivavano le castagne bollite, la tavolata si divideva istantaneamente in tre partiti politici. C’erano quelli che le pelavano, abbrustolendosi le mani senza fare una piega – questione di bon ton. C’erano quelli che le tagliavano nettamente a metà e poi scavavano via la castagna morbida con un cucchiaino da the. E poi c’era mia nonna, che da sola poteva essere un partito e anche un parlamento intero in effetti, e lei no, lei, se era di buon umore, faceva il fico. Estraeva non ricordo come l’interno delle castagne, sminuzzava con la forchetta fino a farne una pasta, poi aggiungeva zucchero (ahimè, a quell’epoca bianchissimo e raffinatissimo), poi mandava me o un altro nipote a prendere un tovagliolo di lino dall’armadio delle tovaglie, metteva la massa di castagna e zucchero al centro, arrotolava stretto stretto fino a formare la forma di un fico appunto, passava a uno di noi per la “battitura” (cosa divertentissima per chiunque sotto i 10 anni, per me anche adesso), e poi finalmente apriva il piccolo tesoro di dolcezza risultante, e lo tagliava in quarti mettendo su un’aria vagamente birichina.
Stasera vedremo se anche le castagne turche e lo zucchero di canna possono essere all’altezza di ricordi così autunnali e così italiani.

Daniela Fubini