Metamorfosi

Il Covid-19, che imperterrito continua a ristagnare pesantemente fra noi contagiando migliaia di persone e mietendo centinaia di morti ogni giorno, accentua nel tempo il suo carattere di osservatorio del comportamento sociale. Al condizionamento del virus nessuno può sfuggire e interpretarne la fenomenologia può risultare istruttivo. Perché alla coesione dolorosa, alla solidarietà partecipe della prima ondata di marzo-aprile succede ora la divisione continua, la polemica incessante di questa seconda ondata? Perché alla compostezza dignitosa e forte del canto dai balconi del primo lockdown risponde la rabbia generale e il caos delle multicolori limitazioni regionali di questi mesi?
Certo, le capacità di umana sopportazione sono messe a dura prova. Avremmo dovuto essere preparati, pronti a reggere l’impatto di un ritorno epidemico abbondantemente preannunciato. E invece eccoci vittime del logorio da virus, consumati dalle infinite ma sempre insufficienti precauzioni richieste da questo nemico nascosto e insidioso, stanchi di limitare le nostre naturali propensioni all’incontro e alla socialità, incapaci ormai di produrre una forza di resilienza che appare da tempo esaurita. Gli effetti costrittivi ed economico-sociali della pandemia si fanno sentire, esasperando le nostre risposte e provocando reazioni inadeguate in sensi diversi: dal più spudorato negazionismo nei confronti della malattia alla criminalizzazione di ogni avvicinamento interpersonale, dal protagonismo accentratore allo scaricabarile irresponsabile. Sempre comunque segno di scarsa o nulla responsabilità.
Ma le origini della netta trasformazione degli ultimi mesi sono anche altre. La lotta politica si adegua all’epidemia e si accende nel nuovo quadro assumendo il linguaggio scientifico-ospedaliero dei nostri giorni. Le questioni legate al Coronavirus non rappresentano solo un’assoluta emergenza nazionale per la sicurezza presente e futura della collettività bensì anche un tema di potere, divenendo il campo di un acceso confronto tra un governo che, chiamato a scelte da far tremar le vene e i polsi (tra salute fisica e sociale, per esempio), non sempre appare capace di assumerle con adeguata decisione e tempestività e una opposizione che spesso ha facilmente buon gioco nel raccogliere lamentele diffuse e farsi strumentalmente portavoce di insoddisfazioni particolari più o meno giustificate. Nel magma politico-amministrativo di emergenza in cui siamo immersi la lotta al virus – comunemente e comprensibilmente considerato “il male in sé” – non è come sarebbe giusto attendersi una guerra unitaria al nemico comune, ma una sfida tra parti diverse in conflitto (anche trasversale) tra loro. L’atteggiamento irrazionale e improduttivo non è comunque presente solo nel settore organizzativo. L’immagine sconfortante di ciò che troppo spesso accade al vertice si riflette talvolta alla base sotto forma di triste cronaca di fatti spietati: come giudicare l’animosità oggi diffusa contro medici e infermieri che dedicano le proprie giornate alla cura dei malati e sono in cambio accusati di non riuscire a sconfiggere il morbo o di tardare troppo a farlo? Eppure, si tratta delle stesse persone che sino a qualche mese fa erano esaltate e mitizzate per il loro sacrificio quotidiano.
Anche l’arrivo del sospirato vaccino contribuisce a cambiare il nostro rapporto esistenziale col virus, e si presta dunque a istruttive considerazioni, legate all’opinione pubblica e agli aspetti economici. La reazione sociale agli annunci a catena di almeno tre vaccini già sperimentati con successo prende due direzioni opposte: da un lato gli entusiasti, convinti di avere davanti la panacea atta a sconfiggere definitivamente e come d’incanto il mostro che ci sta divorando da un anno; dall’altro gli scettici a oltranza, dubbiosi di fronte ai tempi troppo rapidi della loro realizzazione e non disposti a farsi iniettare un liquido sospetto. Le due risposte inverse riflettono però una situazione analoga: temerari o paurosi, se anche il Covid non ci ha ancora colpito siamo in un modo o nell’altro tutti contagiati dalla paura del contagio. Intanto i lanci giornalistici dei tre vaccini hanno scatenato la concorrenza tra le case produttrici, che certo subodorano immensi profitti. E così, come è forse naturale che sia, la possibile uscita da questo incubo sarà anche l’affare del secolo. Come dire che il Coronavirus, oltre a provocare la morte di un milione e mezzo di persone, ha fatto la fortuna alcuni imprenditori.
In conclusione non sappiamo ancora quando ne emergeremo, ma certo la pandemia lascerà in noi mutamenti sensibili. Paura del futuro, incertezza e senso di fragilità certo non ci lasceranno facilmente. Si accentuerà in molti nuclei la tendenza a chiudersi in se stessi maturata in questi mesi di semi-isolamento; in altri prevarrà forse l’impulso ad un lasciarsi andare liberatorio. La tecnologia, che ci ha aiutato a sopravvivere collegandoci a distanza, diventerà il nostro rifugio; speriamo di non smarrire la socialità concreta della vicinanza fisica. La scienza, che ci salverà con vaccini e cure, assurgerà a bene supremo; fatto positivo, purché essa sia un patrimonio ricco di humanitas, cioè davvero al servizio dell’uomo.
David Sorani