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Diario della pandemia

In occasione dell’epidemia, l’ultimo libro di Francesco Cataluccio (Casagrande, 2020), lo avevo letto appena uscito: venivamo fuori dal primo lockdown. È un ironico e acuto diario dei mesi in cui siamo stati chiusi in casa. Avrei voluto parlarne subito, poi mi sono lasciato trasportare dall’euforia della libertà ottenuta e l’estate è volata via. L’autore è un amico, condividiamo l’amore per i libri, per Firenze dove Cataluccio è cresciuto, spesso ci troviamo in sintonia nel giudicare ciò che ci circonda. Più o meno abbiamo la stessa età, le ansie per il virus che proviamo sono le stesse. Anch’io da mesi lavoro sul tavolo di cucina, mi aggiro per la casa in un clima inquisitoriale, in un generale clima di sospetto. Se starnutisci o fai sentire di notte un colpo di tosse improvviso ti senti addosso gli occhi moglie e figli. Il libro è un diario intessuto di letture che vengono in mente per assonanza con le notizie apprese dai giornali o dalla televisione. Fine conoscitore della Polonia e del mondo yiddish, Cataluccio applica le sue memorie libresche alla vita quotidiana: Singer, Schulz, naturalmente Kafka imperversano e non certo per rallegrare gli incubi notturni. Mostri ripugnanti, elegie del tempo che fu, ricordi letterari entrano in cucina quando ti fai il caffè o scongeli un pacco di pesce. I baffi dei topi per me non sono quelli kafkiani che turbano il sonno di Cataluccio, ma i mustacchi che secondo il darwiniano Svevo nei topi crescerebbero a dismisura per consentire di prendere le misure dello spazio buio. Se mi lascio crescere baffi e barba sono più protetto? Non si creda che In occasione dell’epidemia sia un libro ansiogeno. Tutt’altro. Lo si rilegge in queste settimane di seconda reclusione con un sollievo che nella prima ondata non c’era: vuoi perché il lockdown di oggi, nonostante tutto, ci sembra meno pauroso, vuoi perché ci si abitua a tutto, vuoi perché si spera che sia l’ultimo. Cataluccio ha scritto un libro sui sogni, la sua tana in questi mesi io la vedo come la camera oscura dei suoi ricordi. In Sono nato, Georges Perec preferisce parlare non della camera, ma della “boutique oscura dei ricordi”. Non vedo definizione migliore per queste pagine autobiografiche, per questo delicato omaggio alla figura dei genitori, degli antenati, dei colleghi di lavoro e degli amici. Nella boutique oscura dei ricordi di Cataluccio entri spaventato, con i mustacchi tesi prontissimi ad avvisarti di un pericolo. Poi, superato lo scoglio dell’inizio sui topi, ti accorgi di stare al caldo in una casa accogliente e di sederti in cucina al tavolo di lavoro di un amico.

Alberto Cavaglion

(2 dicembre 2020)