Biblioteche e archivi aperti
Bene ha fatto Valdo Spini, presidente dell’Associazione delle Istituzioni di Cultura Italiane AICI, a chiedere al governo con la sua usuale gentilezza, ma con fermezza, un ripensamento sulle norme che impediscono l’apertura delle biblioteche e degli archivi.
“Mi auguro – scriveva Spini – che il prossimo DPCM prenda in considerazione anche la situazione drammatica dei giovani studiosi ricercatori, e dottorandi, cui è stato precluso dal DPCM 3 novembre 2020 l’accesso agli archivi e alle biblioteche conservative, con grave danno non solo per la loro formazione ma per le loro stesse carriere scientifiche e universitarie”.
Che sciagura sarebbe stata se un Paese già in forte ritardo negli investimenti nella ricerca non avesse dimostrato di considerare con la necessaria attenzione i luoghi di formazione e di studio. Non si tratta di discoteche, dove ci si accalca scambiandosi abbracci e virus, né di funivie zeppe di turisti smascherati. Chiunque abbia frequentato una biblioteca o un archivio sa bene che non ci si raggruppa alle casse come ai supermercati (tutti aperti), né ci si siede stretti uno accanto all’altro come a teatro o al cinema. In biblioteca e in archivio si entra da soli, si consegnano le borse chiudendole in un armadietto, ci si siede a una scrivania ben distanziati e si studia in silenzio. Per ore. Le norme sanitarie del MiBACT hanno opportunamente previsto la quarantena per i volumi che vengono consultati come per i faldoni d’archivio. Quindi si studia in sicurezza e si può, si deve fare.
Sarebbe stato un grave danno se si fosse impedito ai nostri studiosi e ai nostri ricercatori di frequentare biblioteche e archivi. Un danno irreparabile alla cultura di questo Paese. Una ferita che avrebbe pesato anche economicamente.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC