Le qualità essenziali di un leader

Poche persone hanno saputo parlare così chiaro e portare a un livello così alto il pensiero ebraico come rav Jonathan Sacks, l’ex rabbino capo di Gran Bretagna, scomparso il 7 novembre scorso. Un Maestro tra i più influenti di questa generazione e uno straordinario comunicatore in grado di interfacciarsi con diversi mondi e diverse realtà. A conclusione dei 30 giorni di lutto (Shloshim), l’ebraismo e la società civile inglese – ma non solo, parteciperà anche il Presidente d’Israele Reuven Rivlin – dedicano al rav un omaggio ufficiale. Un’occasione per ricordare le sue innumerevoli lezioni di etica ebraica, raccolte in centinaia di saggi e scritti. “Pensare al rav Sacks al passato è qualcosa di impossibile. – ricordava il suo successore alla guida dell’ebraismo britannico, rav Ephraim Mirvis – Ma la verità è che non apparterrà mai al passato, perché i suoi insegnamenti continueranno a vivere nel tempo”.
Con l’ausilio delle e dei tirocinanti della Scuola Superiore Interpreti e Traduttori dell’Università di Trieste che stanno svolgendo il proprio periodo di formazione presso la redazione giornalistica UCEI, Pagine Ebraiche ha scelto di proporre – nel numero di dicembre del giornale, attualmente in distribuzione – una selezione di alcuni recenti interventi di rav Sacks. Parole che illuminano sulla prospettiva ebraica riguardo a valori universali come responsabilità, giustizia, empatia.

I leader comandano, ma ciò non significa che non obbediscano. Tuttavia, obbediscono a qualcosa di diverso rispetto alla maggior parte delle persone. Non vi si attengono senza prima riflettere. Non si discostano da quello che fanno gli altri solo perché sono altri a farlo.
Loro seguono una voce interiore, una chiamata. Hanno una visione, non di quello che c’è, ma di quello che potrebbe esserci. Pensano fuori dagli schemi. Seguono un ritmo diverso.
Mai questo è stato espresso in modo più tenace che dalle prime parole di Dio ad Abramo, quelle che hanno messo in moto la storia ebraica: “Lascia la tua terra, la tua tribù, la famiglia di tuo padre, e va’ nella terra che ti indicherò”. (Gen 12:1)
Come mai? Perché la gente si conforma: adotta le norme e assorbe la cultura dell’epoca e del luogo in cui vive, “la tua terra”. Su un piano più profondo è influenzata dagli amici e dai vicini, “la tua tribù”.
Ancora più in profondità è plasmata dai genitori e dalla famiglia in cui cresce, “la famiglia di tuo padre”.
Voglio, dice Dio ad Abramo, che tu sia diverso. Non per essere diverso, ma per iniziare qualcosa di nuovo: una religione che non venererà il potere e i suoi simboli, perché questo è ciò per cui gli idoli erano e sono stati creati.
Voglio, disse Dio, “che ordini ai tuoi figli, e alla tua casa dopo di te, di seguire la via del Signore per praticare la giustizia e il diritto”. (Gen 18:19)
Essere ebreo significa voler sfidare l’opinione generale quando, come spesso accade, le nazioni si ritrovano a venerare gli antichi dei. L’hanno fatto in Europa per tutto il XIX e il XX secolo. È stata l’era del nazionalismo: la ricerca del potere nel nome della nazione-stato che ha portato a due guerre mondiali e decine di milioni di morti. È l’epoca in cui viviamo. È quello che succede oggi in parte del Medio Oriente e dell’Africa con stati che provocano disordini e quello che Hobbes chiamò “la guerra di tutti contro tutti”. Siamo in errore quando pensiamo agli idoli in fatto di sembianze fisiche: statue, figurine, icone. Da quel punto di vista appartengono ai tempi antichi che abbiamo spesso ignorato. Il modo in cui si devono concepire gli idoli riguarda ciò che rappresentano. Simboleggiano il potere. È quello che rappresentavano Ra per gli Egiziani, Baal per i Cananei, Chemosh per i Moabiti, Zeus per i Greci, e quello che rappresentano oggi i missili e le bombe per i terroristi e gli stati criminali.
Il potere ci permette di governare gli altri senza il loro consenso. Come affermò lo storico greco Tucidide: “I forti fanno ciò che devono fare e i deboli accettano ciò che devono accettare”. L’ebraismo è una critica serrata del potere. Questa è la conclusione a cui sono giunto dopo aver passato una vita a studiare i nostri testi sacri. Riguarda il modo in cui una nazione si forma a partire da un impegno comune e una responsabilità collettiva. Riguarda un modo di costruire una società che rispetti l’uomo come immagine e somiglianza di Dio. Riguarda la visione mai del tutto realizzata ma mai abbandonata di un mondo fondato sulla giustizia e la compassione, in cui “non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio sacro monte, perché la saggezza del Signore riempirà il paese come le acque ricoprono il mare”. (Isaia 11:9)
Abramo è sicuramente la persona più influente mai vissuta. Oggi viene riconosciuto come antenato spirituale da 2,3 miliardi di cristiani, 1,8 miliardi di musulmani e 14 milioni di ebrei, più della metà dell’attuale popolazione mondiale. Eppure non ha mai governato un impero o disposto di un grande esercito, compiuto miracoli o annunciato profezie.
È il massimo esempio di persona senza potere in tutta la storia dell’influenza. Per quale motivo? Perché si era preparato ad essere diverso. Come dicono i Saggi, veniva chiamato ha-ivri, “l’ebreo”, perché “tutto il mondo rimaneva da una parte (be-ever chad) e lui stava dall’altra”. Come ogni leader sa, il comando può essere solitario. Ciononostante, si continua a fare quello che si deve perché si è consapevoli del fatto che la maggioranza non ha sempre ragione e che la saggezza convenzionale non è sempre opportuna. I pesci morti seguono la corrente. Quelli vivi nuotano controcorrente. Così è anche per la coscienza e il coraggio. Così è anche per i figli di Abramo. Sono pronti a sfidare gli idoli di un’epoca.
In seguito alla Shoah alcuni sociologi erano ossessionati dal perché così tante persone fossero state pronte, per partecipazione attiva o per tacito consenso, a seguire un regime che stava commettendo uno dei maggiori crimini contro l’umanità. Solomon Asch condusse un importante esperimento: riunì un gruppo di persone e chiese loro di eseguire una serie di semplici attività cognitive. Vennero mostrate loro due carte, una con sopra una linea, un’altra con tre linee di diversa lunghezza, e venne chiesto loro quale linea avesse la stessa dimensione di quella nella prima carta. All’insaputa di un partecipante, tutti gli altri erano stati istruiti da Asch a dare la risposta corretta per le prime poche carte e poi di rispondere erratamente per quasi tutte le altre. In un buon numero di occasioni il soggetto sperimentale diede una risposta chiaramente sbagliata, perché tutti gli altri l’avevano fatto. Questo è il potere esercitato dalla pressione a conformarsi: può portarci a dire quello che sappiamo essere falso. Ancora più inquietante fu l’esperimento dell’Università di Stanford condotto nei primi anni ’70 da Philip Zimbardo. Ai partecipati vennero assegnati dei ruoli come guardie e prigionieri in una prigione fittizia. Dopo alcuni giorni gli studenti reclutati come guardie cominciarono a comportarsi in modo offensivo, alcuni di loro sottoponendo i “prigionieri” a tortura psicologica. Gli studenti scelti come prigionieri sopportavano passivamente, addirittura schierandosi insieme alle guardie contro chi si ribellava. L’esperimento si concluse dopo sei giorni, entro cui perfino Zimbardo si trovò coinvolto nella realtà artificiale che aveva creato. La pressione a conformarsi a ruoli assegnati era sufficientemente forte da portare le persone a fare ciò che sanno essere sbagliato.
Ecco perché, all’inizio della sua missione, Abramo ricevette l’ordine di abbandonare “la sua terra, la sua tribù e la famiglia di suo padre”, per affrancarsi dalla pressione a conformarsi. I leader devono essere pronti a non seguire il consenso. Uno dei più grandi scrittori sulla leadership, Warren Bennis, scrisse: “Prima di raggiungere la pubertà, il mondo ci ha plasmati più di quanto ci rendiamo conto. La nostra famiglia, gli amici e la società in generale ci hanno insegnato, con parole ed esempi, come essere. Le persone, però, cominciano ad essere capi nel momento in cui decidono autonomamente cosa diventare”. Uno dei motivi per i quali gli ebrei sono diventati, in modo del tutto sproporzionato rispetto alla loro popolazione, leader in quasi ogni campo dell’attività umana è esattamente il loro desiderio di cambiare.
Nel corso dei secoli gli ebrei sono stati l’esempio più significativo di gruppo etnico che ha rifiutato di assimilarsi alla cultura o convertirsi alla fede dominante.
C’è un’altra scoperta di Solomon Asch degna di nota: egli constatò che quando anche una sola persona sosteneva l’individuo in grado di capire che gli altri stavano dando la risposta sbagliata, quest’ultimo aveva la forza di ribellarsi all’opinione comune. Ecco perché, a dispetto dei loro bassi numeri, gli ebrei hanno formato delle comunità. È difficile governare da soli, molto più facile è farlo in compagnia pur essendo una minoranza.
L’ebraismo è una voce controcorrente in mezzo all’umanità. In quanto ebrei, non seguiamo la maggioranza in quanto tale. Epoca dopo epoca, secolo dopo secolo, gli ebrei sono stati pronti a fare ciò che il poeta Robert Frost ha celebrato in un suo componimento:
Divergevano due strade in un bosco, e io… io presi la meno battuta, e di qui tutta la differenza è venuta.

Rav Jonathan Sacks

(Traduzione di Mattia Stefani, studente della Scuola Superiore Interpreti e Traduttori dell’Università di Trieste, tirocinante presso la redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane)