L’ultima pellicola di Guy Ritchie,
inquietante collezione di stereotipi

Una collezione movimentata di stereotipi, gettati al grande pubblico senza molta cognizione. L’ultimo film di Guy Ritchie “The Gentlemen”, in Italia disponibile in questi giorni su Amazon Prime, è stato sostanzialmente stroncato dalla critica all’uscita nelle sale in Gran Bretagna e Stati Uniti nel gennaio scorso. Difficile non condividere il giudizio della critica, vista l’accozzaglia di stereotipi ritratta nella pellicola, con il Washington Post che denuncia una deriva antisemita nella retorica presentata da Ritchie.
The Gentlemen è la storia di un trafficante di droga – Mickey Pearson, interpretato da Matthew McConaughey – che vuole cedere il suo impero al miglior offerente. A contenderselo sono un miliardario ebreo-americano – Matthew Berger, interpretato da Jeremy Strong – e un mafioso cinese, “Dry Eye”, interpretato da Henry Golding. “Gli ebrei, le donne, la classe operaia, i gay, i neri, l’intera Asia orientale – ogni demografia immaginabile ha la sua occasione per essere presa di mira e denigrata. – scrive The Indipendent nella sua bocciatura del film – L’unica cosa che The Gentlemen trova degna di essere celebrata è la spavalderia della mascolinità bianca, mentre Mickey inganna ripetutamente i suoi nemici e ne esce vincitore”. Come scrive il sito israeliano Walla, il film ammicca a quel mondo affascinato dalla retorica dei pro-Brexit. “Chiunque non sia britannico, sia esso russo o cinese, viene presentato come un nemico venuto a prendere il sopravvento – scrive Walla – e deve essere brutalmente sradicato. Ritchie lascia la bordata più grossa agli ebrei. Forse per il suo ben noto legame con l’ebraismo, Israele e la lingua ebraica, che gli permette di difendersi sotto l’affermazione ‘ho molti amici ebrei…’, si permette di descrivere il supercattivo qui come i Rothschild descritti nella letteratura del XIX secolo: avido predatore ebreo, astuto e intransigente”. Sulla stessa linea Haaretz che sottolinea come non ci sia un vero motivo perché l’antagonista sia ebreo. “Il suo ebraismo viene gettato nel mucchio, presumibilmente per permettere agli spettatori di completare lo stereotipo”. Se però il quotidiano israeliano tutto sommato salva il film, seppur sottolinei l’inutile uso di una sequela di stereotipi, Alyssa Rosenberg del Washington Post ci vede qualcosa di più inquietante. “Matthew non è solo un duro negoziatore; nella grande tradizione degli stereotipi antisemiti, è un tirchio e un imbroglione, che lavora con Dry Eye per abbassare il valore dell’attività di Mickey. – scrive Rosenberg – Il risultato è un complotto in cui ebrei e cinesi si coalizzano contro i bianchi, che sono la classe operaia delle loro origini, usando – tra gli altri – giovani neri come strumenti. The Gentlemen si conclude con gli antagonisti cinesi ed ebrei di Mickey morti o mutilati, e un’alleanza consolidata tra i personaggi bianchi e neri”. A preoccupare Rosenberg è la narrazione per cui l’altro – in particolare “l’ebreo”, ma anche “il cinese” – è visto come il vile usurpatore, che per vincere l’eroe non può che ricorrere a trame meschine. Non solo. La rilettura finale della scena della libbra di carne de “Il mercante di Venezia” di Shakespeare, è per la firma del Washington Post, il sigillo di questa retorica che gioca con l’antisemitismo. Nell’opera di Shakespeare la richiesta dell’usuraio ebreo Shylock di una libbra di carne come pagamento di un debito è presentata come macabra e irragionevole. Nella pellicola di Ritchie la richiesta viene invertita: la libbra di carne viene chiesta all’ebreo come punizione per il tentato stupro della moglie dell’eroe Mickey. “A differenza del tentativo di Shylock, ‘The Gentlemen’ tratta la brutalità di Mickey come ragionevole, anche cavalleresca. – sottolinea Rosenberg – Questo non è solo un doppio standard: ‘The Gentlemen’ prende un atto che segna un personaggio ebreo come mostruoso in Shakespeare e lo capovolge, suggerendo che un altro personaggio ebreo merita di essere costretto a mutilarsi. ‘The Gentlemen’ usa Rosalind (la moglie, a sua volta ebrea) sia come scusa che come maschera: Mickey agisce sia in difesa che su consiglio della moglie ebrea, che gli consiglia di essere spietato. Ma ordinare le persone in base al fatto che siano ebrei buoni o cattivi non è una smentita alle accuse di antisemitismo, soprattutto quando ciò che determina la bontà o la cattiveria dei personaggi è il fatto che siano dalla parte degli eroici gentili”. Cioè l’ebreo buono è quello che denuncia l’altro ebreo perché vi rivedere i tratti peggiori del proprio popolo. La quintessenza dello stereotipo antisemita. I quotidiani israeliani, da Walla a Haaretz fino a Ynet, evidenziano queste criticità, ma non vi rivedono la pericolosità che invece denuncia Rosenberg. “Il più grande potere che Hollywood ha è la capacità di trasformare un’immagine, dando grandiosità a cose trascurate e trasformando il formidabile in sciocco. Rispetto alla maggior parte delle persone, rispetto anche alla maggior parte dei suoi colleghi registi, il talento di Guy Ritchie è quello di far sembrare le cose belle. – scrive l’opinionista – Peccato che la cosa che ha vestito questa volta sia l’antisemitismo”.