Controvento – Memoria e identità
Ho seguito con interesse il dibattito partito da Pagine Ebraiche e ripreso da varie testate a proposito della Carta della Memoria proposta da Gabriele Nissim, e ho apprezzato la pacatezza e il rispetto con cui sono state esposte le varie posizioni, ben diversi dai velenosi attacchi ad personam che purtroppo sono apparsi sui social. Pur essendo una firmataria della Carta, comprendo quanto il tema sia controverso e come per molti sia impossibile accettare un allargamento della memoria della Shoah, che, sostengono, ne svilirebbe la portata e l’unicità.
Se intervengo nel dibattito in cui tante voci ben più autorevoli della mia si sono espresse, è per portare un contributo diverso, quello di una professionista che per tutta la vita si è occupata di comunicazione.
Perché la Shoah è diventata anche un evento da comunicare, attraverso il Giorno della Memoria, la formazione scolastica, le mostre, i musei, gli spettacoli, i viaggi che si propongono di farla conoscere al grande pubblico affinché il ricordo non si smarrisca e nulla del genere si ripeta.
La prima domanda che un divulgatore si deve porre è: a chi mi rivolgo? Qual è il mio pubblico e come posso coinvolgerlo emotivamente, facendolo sentire partecipe e superando la barriera della retorica? Credo che sia una domanda essenziale anche per noi. Ovvero, se la memoria della Shoah è un evento circoscritto alla popolazione ebraica, un evento identitario, è comprensibile che se ne voglia preservare il carattere di unicità. Ma se intendiamo rivolgerci a un pubblico più ampio, e in particolar modo alle scuole, per educare i giovani al rispetto delle diversità, insegnare a riconoscere e prevenire i segni del male nella società, abituarli al pensiero critico che è il contrario dell’obbedienza indiscriminata e del conformismo, se la Shoah deve diventare un monito e non solo una rievocazione, credo sia indispensabile comprendere quale sia il modo più efficace di presentarla, per rendere gli altri partecipi e solidali. La mia impressione è che si sia creata una saturazione nel pubblico non ebraico della memoria della Shoah e soprattutto di quella che viene interpretata, a torto o a ragione, come una mancanza di empatia verso la sofferenza degli altri. Questo fa sì che, nel mondo non ebraico (e ne ho prova quotidianamente), la Shoah sia vissuta come “cosa vostra”, un esempio ulteriore di solipsismo, di orgogliosa chiusura, e che alla fine questo generi disinteresse e anche rifiuto. Sono personalmente convinta che la nostra sofferenza dovrebbe aprirci a quelle degli altri, diverse per le modalità con cui si sono espresse e per le conseguenze che hanno creato, ma che comunque accomunano tutti coloro che abbiano subito o subiscano persecuzioni razziali, torture, morti, genocidi. La memoria della Shoah diventa una forza quando si trasforma in consapevolezza del Male, quando vaccina contro l’indifferenza e la rassegnazione alle ingiustizie. E questo non riguarda solo gli altri nei nostri confronti, ma anche noi nei confronti degli altri.
Per questo apprezzo che la definizione di Giusto superi l’angusto perimetro di chi ha rischiato la vita per salvare gli ebrei, e assurga a categoria imprescindibile del comportamento umano.
È necessario, oggi più che mai, nella realtà parallela e apodittica dei social, creare la consapevolezza che chiunque può diventare un Giusto, può compiere gesti coraggiosi motivati dall’amore e dal rispetto per la vita altrui. Questo andrebbe insegnato nelle scuole, non solo l’orrore dell’Olocausto, ma anche la possibilità che ognuno di noi ha in sé di non adeguarsi al male nel momento in cui questo avviene sotto i nostri occhi, di non sospendere il giudizio morale, mai, di essere fedele ai valori etici. E’ questa la missione che si è data Gabriele Nissim, la condivisione del dolore altrui al quale noi ebrei, che per secoli siamo stati vittime designate, dovremmo essere i primi ad aprirci. Non per negare l’unicità della Shoah, che deve essere analizzata e presentata nel suo specifico orrore, ma per trarne un monito che parli anche al cuore degli altri, che sia di insegnamento e di esempio. Come ha scritto su queste pagine Gadi Luzzatto Voghera, l’iniziativa di Nissim non si propone di annacquare la memoria della Shoah, ma, al contrario, di costruire nuovi ed efficaci percorsi educativi su un paradigma etico imprescindibile che solo la Shoah, con la sua storia e la sua enormità, può rappresentare.
E un’altra considerazione vorrei aggiungere che riguarda indirettamente la Shoah. L’ebraismo ha una storia straordinaria, ha dato contributi fondamentali alla cultura, all’arte, alla scienza, alla filosofia, alle religioni. I principi etici dello shabbat, dei dieci comandamenti, del dibattito talmudico, della libertà, della democrazia, della tzedakà sono i pilastri fondanti di ogni convivenza civile. Mi piacerebbe che si facessero più sforzi per comunicare questa identità ebraica, e non solo quella di vittime della Shoah. La nostra identità culturale è ciò che veramente ci rende unici come popolo, non la graduatoria della sofferenza.
Viviana Kasam