‘Iran debole, guerra ultima opzione
La sorte di Djalali appesa a un filo’

L’ultima volta che è potuto tornare a Teheran è stato sul finire degli Anni Ottanta. Una rocambolesca fuga l’ha messo in salvo dagli sgherri del regime. Da allora Ahmad Rafat vive l’angosciante condizione dell’esilio. Giornalista, scrittore, paladino per l’affermazione dei diritti umani. Una delle voci più autorevoli per parlare di quel che sta accadendo in Iran. 

Le ultime notizie danno Ali Khamenei, la Guida suprema, in fin di vita. Le risulta che sia così? Che si stia dando avvio a una transizione? 
No, le informazioni che ho io sono differenti. Si tratta piuttosto di un forte raffreddore, di una situazione passeggera. Da quel che mi risulta gli appuntamenti che ha in agenda domani si terranno regolarmente. Ho fatto diverse telefonate, a Teheran e in altre città, per capire se ci fossero movimenti significativi. Tutto, in apparenza, è tranquillo. Parlo per esperienza: ero in Spagna quando è morto Franco. Ricordo l’allerta di quelle ore. Lo spiegamento di polizia ed esercito. Non c’è nulla che, al momento, vada in quella direzione. 

L’Iran è tornato sulle prime pagine dopo l’uccisione di Mohsen Fakhrizadeh, il “padre del nucleare”. Che idea si è fatto? È corretta l’interpretazione che si tratterebbe di un tentativo di mettere in difficoltà il presidente eletto Usa Joe Biden? 
No, mi sembra inverosimile. Un’azione del genere non la si pianifica in poche settimane. La collego piuttosto ad altri fatti: l’eliminazione di Soleimani a gennaio, l’esplosione in estate al sito di Natanz, la successiva uccisione del numero due di Al Qaeda a Teheran. Azioni e simboli forti per mettere in crisi la Repubblica islamica, per indebolirla al tavolo delle trattative. Ricordo che sedersi a quel tavolo non è ambizione del solo Biden. Anche Trump, più volte, ha manifestato questa intenzione.  

Come andrà a finire? 
L’Iran è effettivamente molto indebolito. Ha un’economia in grave crisi, pesantemente intaccata dal Covid. L’export del petrolio è crollato. Il governo non ha risorse, gli stipendi sono pagati con ritardo. Non è un problema solo interno. I soldi servono anche per mantenere legami con organizzazioni attive in altre Paesi. Ho notizia ad esempio di gruppi in Iraq che si sono sfilati. Anche in Libano Hezbollah è in difficoltà. Sta cercando di sopperire a questa mancanza con altri mezzi, monopolizzando ad esempio la rete dei cambia valute o intensificando il traffico di droga. Tutto per fare i soldi che non arrivano da Teheran. 

Qualche giorno fa, dalla platea dei Mediterranean Dialogue, il ministro degli Esteri Zarif è tornato a lanciare minacce di fuoco a Israele. Il rischio di una guerra è concreto?
È un’opzione che esiste sempre. Anche se, per la situazione contingente, la vedo come la meno probabile. L’Iran non vuole infatti giocarsi subito la carta del dialogo con Biden. Ciò detto è senz’altro vero, e autorevoli esperti me l’hanno confermato, che la bomba può essere costruita in pochi mesi. Qualora ci fosse una accelerata in tal senso non mi stupirei di un intervento di Israele. È la cosa che farei io stesso.  

Un altro tema attuale è la sorte di Ahmadreza Djalali, il ricercatore accusato di spionaggio per Israele e per questo condannato a morte. Cosa succederà? 
Svezia, Belgio, Italia. Sono i tre Paesi cui Djalali, per motivi familiari e di professione, è legato. Per la sua liberazione l’Iran ha formulato delle richieste. Al Belgio ha domandato in cambio la liberazione di un diplomatico accusato di organizzare attentati terroristici. Alla Svezia di uno dei giudici che negli Anni Ottanta fu responsabile dell’emissione di sentenze di morte senza processo: in migliaia furono uccisi. L’Italia è quella che può fare meno, non avendo figure di questo calibro nelle sue carceri.

C’è qualche possibilità di salvarlo?
Non sarà semplice. L’accusa di spionaggio deriva dal fatto che stesse lavorando a un progetto della comunità europea che prevedeva una collaborazione israeliana. Ciò è stato messo in relazione a un suo precedente incarico al ministero della Difesa. Se dovessero fallire le trattative con Svezia e Belgio il rischio è grande. Per dimostrare di essere “duro e puro” il regime potrebbe davvero farlo, mandarlo a morte. Conosco bene Djalali. Appena qualche giorno fa ho sentito la moglie. Sono molto preoccupati.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(7 dicembre 2020)