Beitar, lo storico annuncio:
il 50% del club agli arabi

Nelle ultime settimane, dalla firma degli Accordi di Abramo in poi, ci sono state molte prime volte. Quella ufficializzata nelle scorse ore ha però un valore speciale: il Beitar Gerusalemme, la squadra del cuore del Presidente d’Israele Reuven Rivlin, è da ieri per metà di proprietà dello sceicco Hamad bin Khalifa Al Nahyan, membro della famiglia reale degli Emirati Arabi Uniti.
Per la prima volta un Paese arabo investe nel calcio israeliano. E lo fa acquisendo una delle società più gloriose, ma anche più problematiche. Sono infatti note anche a livello internazionale le intemperanze di una parte considerevole della tifoseria locale, distintasi per un livello di razzismo e insofferenza anti-araba che ha più volte portato a scontri, intimidazioni, violenze. Imbarazzante quel che accadde nel 2012 dopo l’acquisto di due calciatori ceceni “colpevoli” agli occhi della Familia, così si chiama lo zoccolo duro degli ultrà del Beitar, di essere musulmani. Addirittura, al goal di uno di loro, migliaia di tifosi lasciarono lo stadio in segno di protesta. Magistralmente racconta tutto ciò un documentario, vincitore nel 2018 di un Emmy Awards: Forever Pure, dell’israeliana Maya Zinshtein. Un nome ispirato a uno slogan caro a una parte degli ultrà del Beitar, orgogliosi del fatto che nessun calciatore arabo abbia mai indossato la maglia giallo e nera.
L’apertura della trattativa tra la dirigenza del club e lo sceicco era stata rivelata in settembre. Il proprietario, Moshe Hogeg, che da quando ha acquisito il Beitar si è battuto con grande impegno contro teppisti e razzisti, si era detto fiducioso: “Se ci sarà uno spirito di tolleranza, potremo creare un’atmosfera di pura amicizia”. Da ieri la gestione del club è condivisa al cinquanta per cento con lo sceicco emiratino. Le loro foto insieme passeranno alla Storia, non solo di quella del pallone. “Il nostro messaggio ai giovani – ha commentato Hogeg subito dopo la firma dell’accordo – è che siamo tutti uguali e che insieme possiamo fare belle cose”.
(8 dicembre 2020)