Il limmud e lo speciale
in ricordo di Renzo Gattegna
Calma, tenacia e risultati

Domani 9 dicembre, 23 Kislev 5781, ricorrerà il trentesimo dalla scomparsa dell’ex Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna.
In sua memoria si svolgerà un limmud online, che potrà essere seguito in diretta streaming sul canale social UCEI a partire dalle 20.30. Interverranno la Presidente dell’Unione Noemi Di Segni, il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni, il direttore dell’area Cultura e Formazione UCEI rav Roberto Della Rocca. A moderare la serata l’ex direttrice del Meis Simonetta Della Seta. 
Sul numero di dicembre di Pagine Ebraiche un dossier e molte pagine speciali sono dedicate ai dieci anni di presidenza Gattegna, di cui è anche pubblicata un’antologia dei numerosi interventi scritti sul giornale dell’ebraismo italiano. Di seguito la testimonianza dell’ex Vicepresidente UCEI Anselmo Calò.

Ero poco più di un ragazzino quando ho conosciuto Renzo Gattegna, avrò avuto 15 anni, si mostrò subito come una persona rassicurante. A quell’epoca era l’assessore ai giovani della Comunità di Roma. Mi apparve subito per quello che era: una persona gentile e pacata, comprensiva e pronta a dare un aiuto. Noi eravamo i giovani non religiosi, un po’ reietti nella Comunità; ai nostri campeggi non si mangiava kasher e viaggiavamo di sabato. Sostenevamo i partiti della sinistra israeliana e l’idea di un “compromesso territoriale” con i palestinesi – lo slogan che precedette quello “Due Popoli due Stati”. Renzo ottenne per noi il riconoscimento della dignità che ci spettava come componenti della Comunità; con le nostre idee e le nostre attività diverse avevamo pari diritti. Capì che eravamo un’alternativa alla assimilazione e non potevamo essere respinti. Lo considerai da quel giorno “uno dei nostri”.
In seguito mi spiegarono che le sue idee, in special modo sul dialogo tra israeliani e palestinesi, non erano proprio uguali alle mie. La sua perciò era stata una battaglia democratica, non per noi, ma per la Democrazia. Non ci incrociammo più per molto tempo, io mi dedicai all’Unione e non avevo interesse per la Comunità di Roma dove egli restò attivo. Fu all’Unione che dopo trent’anni ci siamo rincontrati. La sua lista lo indicò come Presidente e lui mi invitò ad un’incontro nel suo studio, come ad ogni altro componente del Consiglio appena eletto. Renzo applicò subito il suo modello pragmatico, voleva capire le competenze, le esperienze e le aspettative di ciascuno per creare una squadra efficiente. Aveva una eredità pesante da continuare: quella di un Presidente carismatico, portatore di una grandissima cultura ebraica, che aveva guidato l’UCEI per sette anni e mezzo. Ma anche quella di far dimenticare lo sbaglio che il suo gruppo aveva compiuto sostenendo candidature prive delle qualità che un Presidente deve avere.
Renzo invece le aveva tutte: la duttilità, da non scambiare con arrendevolezza, la capacità di ascolto, ma anche la riluttanza alla retorica e alle parole vuote, la disponibilità verso tutti, e la determinazione a guidare l’Unione con una visione: l’UCEI al centro della vita ebraica, gli ebrei dentro la società nazionale. Questa sua visione ha plasmato la Unione di oggi, Noemi Di Segni è infatti la continuatrice fedele di questa idea che, per dieci anni con Renzo, abbiamo sostenuto assieme. Arrivai a quel primo incontro pieno di pregiudizi, militavamo in due schieramenti diversi per idee, e questo ci stava, ma sapevo che i due schieramenti avevano anche una diversa sensibilità ebraica e una diversa idea della democraziainterna all’ebraismo. Renzo fu chiaro fin dall’inizio: voleva una gestione unitaria dell’ente, con totale superamento delle liste e degli schieramenti. Così avvenne per davvero: le posizioni di partenza scomparvero, anche i più radicali si adattarono alla nuova gestione. Le decisioni da lì in poi le prendemmo sempre in accordo, lui ci guidava, limava, ci avvicinava e alla fine raggiungevamo sempre una posizione comune. Compresi così che il confronto e il dialogo se ben condotto, sono veramente la strada più fruttuosa. È stato per me un grande insegnamento di vita.
Gli incarichi che mi aveva affidato erano gravosi, avevo bisogno continuamente di confrontarmi con lui per le scelte che dovevo fare. Ci sentivamo parecchie volte al telefono durante la giornata e ci vedevamo spesso il pomeriggio tardi al suo studio, o all’ora del pranzo all’Unione.In quelle occasioni parlavamo non solo dell’UCEI, ma anche di cultura, di politica e di economia. Renzo mi incitava a continuare il mio impegno nella Confindustria, che all’epoca, insieme agli incarichi dell’UCEI, pesava sulla mia giornata di lavoro infinita; “È bene partecipare nei luoghi della società civile”, mi diceva. Attravero quella stretta frequenza, capii che le differenze politiche tra noi due non c’erano, avevamo spesso le stesse opinioni, approfondivamo assieme ma quasi mai da posizioni molto diverse; (chissà se lo erano mai state?). Il Consiglio che approvò il nostro primo bilancio preventivo si svolse a Verona, eravamo tutti e due un po’ timidi, non sapevamo se saremmo stati all’altezza della situazione. L’illustrazione del bilancio si svolse davanti al pubblico, ed era una novità. Fu una discussione con numerose domande, a cui risposi con tranquillità e padronanza. Alla fine Renzo mi abbracciò e capii che avevo conquistato la sua fiducia. Una fiducia che non venne mai meno. Durante i dieci anni che ci hanno visti assieme nell’UCEI fui il suo più stretto collaboratore. Un giorno gli dissi che mi sentivo il suo scudiero.
Il mio carattere impulsivo e ruvido veniva lentamente, ma concretamente contenuto dalla sua calma, dalla sua voce bassa suadente che con il suo pragmatismo mi induceva a riflettere. Un giorno, in merito a un argomento che aveva coinvolto entrambi, su cui ero veramente inferocito, mentre lui rimaneva calmo e non si alterava in alcun modo, ebbi la sensazione che i nostri diversi atteggiamenti fossero inconciliabili, che qualcosa nel nostro sodalizio stesse per rompersi. Eravamo in piedi nell’ufficio del Presidente ed io ero veramente incontenibile, anche perché mi sentivo abbandonato. Lui mi guardò intensamente e mi disse: “Non credere che io sia così calmo, dentro di me sono furioso per questa cosa, come te”. Lo abbracciai, avevo capito che si può essere calmi fuori anche se si è furiosi dentro.
L’ultima avventura assieme è stata l’associazione amici di Beresheet Lashalom che purtroppo si è fermata con la sua malattia. Però ci portò a fare un bellissimo viaggio in Israele con Ilana e Marina attraversando tutto il Galil e il Golan. Sul monte Tabor, da dove si vede tutta la valle di Jizreel, mi raccontò che non era stato più lì da quasi 60 anni, dal suo primo viaggio in Israele, quando era un giovane studente universitario. Riflettemmo assieme su quanto Israele era cambiato, da quello che conobbe lui nel suo primo viaggio e da quello in cui avevo vissuto io quasi vent’anni dopo, alla fine degli anni ‘70. Israele – mi disse Renzo – è un Paese in continua trasformazione, tra dieci, quindici anni lo vedremo ancora diverso.
L’ultima volta che ci siamo incontrati era Erev Rosh Hashana, quando mi ha visto ha cominciato a cantare per dimostrarmi quanta era la felicità per il nostro incontro. Marina, mia moglie, con stupore, mi disse: è contento come un ragazzino. Aveva un viso luminoso, un sorriso aperto, gli occhi azzurri che parlavano e mi dicevano, come sempre, che la nostra amicizia era sincera, forte, immensa.
Renzo Gattegna ha lasciato dentro di me un segno fortissimo, ho imparato tanto da lui, soprattutto, che con la calma e la tenacia si possono raggiungere anche gli obiettivi più ambiziosi.

Anselmo Calò, ex vicepresidente UCEI 

(Nell’immagine Renzo Gattegna con la moglie Ilana)

(8 dicembre 2020)