Multiculturalismo e laicità

Di fronte alla feroce offensiva islamista che ha colpito la Francia – dall’assassinio di Samuel Paty a quello di tre persone inermi all’interno di una chiesa a Nizza, assassinii accompagnati dal rituale dello sgozzamento e della decapitazione – e continuata con l’attacco di Vienna che ha provocato quattro morti, occorre non soltanto un’energica reazione morale e adeguati provvedimenti di polizia e giudiziari. È necessario anche ricorrere a strumenti di analisi che ci aiutino non solo a comprendere nel profondo da dove nasce questa offensiva che è rivolta contro persone fisiche, ma che in realtà vuole colpire i principi fondamentali di uno Stato laico e repubblicano; ma anche a comprendere appieno quali sono i nostri valori, a riflettere su quali principii poggia la nostra convivenza in uno Stato che vuole essere, appunto, laico e repubblicano.
Può aiutare in questa riflessione il libro da Cinzia Sciuto, «Non c’è fede che tenga. Manifesto laico contro il multiculturalismo», pubblicato due anni fa da Feltrinelli. Il rifiuto del multiculturalismo arriva nell’ultimo capitolo, dopo un percorso che prende l’avvio dal pensiero etico-politico di Immanuel Kant, punto d’approdo dell’Illuminismo, e che si sviluppa sulla base della rivendicazione di un’integrale laicità dello Stato. Sciuto rifiuta che alle Chiese siano riconosciuti particolari privilegi o anche particolari diritti: titolari dei diritti fondamentali dell’uomo sono gli individui, non i gruppi sociali, qualunque aspetto essi assumano, anche di carattere religioso. Rifiuta altresì l’ambiguo concetto di “diritti di gruppo”: che i diritti facciano capo alle persone in quanto tali e non in quanto membri di un gruppo è precondizione della libertà. Compito dello Stato è perciò quello di tutelare i diritti dell’uomo e di garantire che la legge sia uguale per tutti. Viceversa, i sostenitori del multiculturalismo affermano che «i membri della comunità politica vadano trattati diversamente a seconda della loro appartenenza alle diverse “comunità” etnico-cultural-religiose e che le “culture” minoritarie vadano salvaguardate così come sono (o si presume che siano) e in quanto tali». Dall’esistenza di una pluralità di usi, costumi, tradizioni, lingue, fedi «si fa derivare una pluralità di diritti che, inevitabilmente, conduce a una pluralità di sistemi legali». «Un approccio – sostiene Sciuto – che ha procurato enormi danni al processo di integrazione degli immigrati in molti Paesi europei». Il diritto alla diversità rischia di sfociare nella diversità dei diritti. In realtà, prosegue l’autrice, «trattare le culture come dei monoliti significa pensarle come incapaci di cambiare, immobili, congelarne l’attuale stato e farne degli oggetti da contemplare. Significa la fine della storia». Su questa base, riprendendo un testo di Maajid Nawaz, polemizza contro quegli intellettuali che «mentre giustamente mettono in discussione ogni aspetto della loro cultura occidentale, in nome del progresso, censurano i musulmani liberali che tentano di farlo all’interno dell’Islam, prendendo le difese di ogni reazionario retrogrado, nel nome dell’”autenticità culturale” e dell’anticolonialismo».
Sciuto rifiuta l’idea del “rispetto” che si dovrebbe portare verso la religione, qualunque essa sia, che porta a prevedere il reato di vilipendio, una limitazione della libertà d’espressione: «rispettare l’altro in quanto portatore della medesima umanità di cui è portatore ogni singolo essere umano significa invece riconoscere in ciascuno la medesima capacità di vita autonoma, guardarlo come autonomo soggetto morale».
Da queste affermazioni di carattere generale l’autrice fa scaturire la critica a molte pratiche dell’Islam, in particolare quella dei tribunali della shari’a che, nell’ambito del diritto familiare, sanciscono la posizione di inferiorità della donna.
Il libro si conclude con la proposta di una “prospettiva cosmopolitica”, che assume quelli dell’autonomia e della libertà degli individui come principii fondamentale al vaglio dei quali far passare qualunque richiesta di diritti collettivi.

Valentino Baldacci

(10 dicembre 2020)