Il sonno delle macchine

“Caro, fai fare un pisolino alla telecamera di riconoscimento facciale, sennò potrebbe avere allucinazioni e far entrare i ladri”. La frase sembra tratta da un film dell’assurdo, ma tanto assurda non è. Una ricerca appena pubblicata su Scientific American, a firma di Garrett Kenyon, fisico e neuroscienziato computazionale presso il Los Alamos National Laboratory, dove riproduce su computer molto potenti i modelli biologici delle reti neurali, sembrerebbe indicare che le reti digitali che simulano il cervello umano hanno bisogno di dormire per non perdere di efficienza. Sì, “dormire”: ovvero essere sottoposte a una scarica di frequenze e ampiezze che simulano quelle prodotte dai neuroni nel cervello durante il sonno a onde lente, ovvero il sonno profondo senza il quale non possiamo vivere. E questo aiuterebbe anche a comprendere a che cosa serve il sonno, uno dei misteri più affascinanti del cervello umano, al quale nessuno è ancora riuscito a dare una risposta inequivocabile. Eppure il sonno deve avere un ruolo fondamentale, se gli animali – non solo l’uomo – si espongono regolarmente, per periodi più o meno lunghi, al rischio di non essere coscienti, e quindi inermi di fronte ai predatori e ai nemici.
Il lavoro di Kenyon e del suo gruppo è volto a creare sistemi di intelligenza artificiale che imitano il cervello umano, e possono svolgere una serie di compiti complessi grazie al deep learning e all’autoapprendimento. Dalle partite a scacchi, alla guida autonoma, alla scrittura di testi, al riconoscimento vocale e facciale, questi computer si sono rivelati efficienti al punto da arrivare a volte a competere con gli esseri umani.
Una delle caratteristiche considerate finora distintive delle macchine è che non hanno bisogno di dormire, a differenza degli umani e di qualsiasi altra creatura con un sistema nervoso centrale.
Almeno, così credevano gli scienziati, finché, durante un esperimento di classificazione di immagini di soggetti non conosciuti, si sono resi conto che i computer si comportano esattamente come i bambini sottoposti a un analogo esercizio: dopo un po’ perdono concentrazione, si distraggono, diventano instabili. E come i bambini, che dopo un sonnellino riprendono le loro capacità, così i calcolatori, sottoposti a una scarica di onde analoghe a quelle di cui il cervello fa esperienza durante il sonno, tornano a lavorare con perfetta efficienza. “Questo tipo di instabilità non è una caratteristica di tutte le reti di IA” spiega Kenyon. “La stragrande maggioranza dei sistemi artificiali si limitano infatti a eseguire operazioni matematiche che non hanno equivalenti con le attività dei neuroni viventi. Il problema è sorto solo quando abbiamo cominciato ad addestrare processori biologicamente realistici: dopo un po’ sviluppavano reazioni simili alle umane allucinazioni.”
Dopo vari e inutili tentativi di stabilizzarli, per esempio con vari tipi di rumore numerico, più o meno paragonabili a quelli rilevabili nel sintonizzare una radio, gli scienziati hanno finalmente riscontrato un effetto positivo utilizzando una gamma di frequenze e ampiezze analoghe a quelle prodotte dai neuroni nel cervello durante il sonno a onde lente.
I risultati suggeriscono che nei sistemi di intelligenza artificiale che simulano il modello biologico, un “sonno” a onde lente può aiutare a mantenere la stabilità, evitando che il sistema vada in tilt e arrivi a produrre allucinazioni (che, tra l’altro, sono una nota conseguenza della prolungata mancanza di sonno negli umani).
Questo sonno indotto nelle reti neurali non va confuso con la modalità detta “sleep” in cui entrano gli apparecchi elettronici e i PC dopo un determinato periodo di inattività. Un computer convenzionale che è andato in “sleep mode”rimane in attività sospesa, come se i processi computazionali fossero temporaneamente congelati. E non va neanche confuso con la pratica di “spegnere e riaccendere il computer” quando si impianta che, al contrario, equivale piuttosto a esporre la macchina a un breve periodo di morte cerebrale. Nel caso di instabilità allucinatoria dell’IA, spegnimento e accensione avrebbero anzi l’effetto indesiderato, nel ripristinare la rete, di annullare qualsiasi addestramento ottenuto, provocando un grave caso di amnesia digitale. “Nelle reti neurali così come nelle creature viventi – spiega Kenyon- uno stato simile al sonno non è inattività, ma un diverso tipo di attività che è cruciale per il corretto funzionamento dei neuroni.”
E dunque, se il gruppo di Los Alamos ha ragione, il sonno, negli umani e nelle reti digitali che riproducono il funzionamento del nostro cervello, servirebbe proprio a reimpostare i neuroni per garantire che funzionino meglio.
Possiamo perciò immaginare che in un futuro non molto lontano, quando i sistemi di intelligenza artificiale che imitano i nostri cervelli saranno incorporati nella vasta gamma di dispositivi che attualmente fanno affidamento su computer e microprocessori convenzionali per aiutarci durante la giornata – il cosiddetto Internet delle cose – dovremo far fare un pisolino pomeridiano o notturno al nostro frigo, alla nostra lavatrice o alla nostra automobile. Tutte queste ricerche ed evidenze potrebbero aiutarci non solo ad avere elettrodomestici più performanti, ma anche a comprendere meglio il funzionamento del nostro cervello e il mistero del sonno, tanto caro a scrittori, filosofi e poeti.

Viviana Kasam

(14 dicembre 2020)