Nedelia e i giovani
Se n’è andata in punta di piedi, quasi all’improvviso, alla Casa di Riposo della Comunità ebraica torinese nella notte tra venerdì e sabato scorsi. Con la sua presenza sicura e gentile, con la sua opera sapiente e stimolatrice di insegnante, con la sua testimonianza intelligente ha significato molto per la Scuola ebraica e per tanti studenti delle scuole del Piemonte ai quali raccontava la sua vicenda di adolescente travolta dalle leggi razziste e dalla guerra. Da qualche anno Nedelia Lolli Tedeschi aveva lasciato il suo impegno di osservatrice critica di un’epoca, e certo si sentiva la mancanza del suo intervento sempre volto a coinvolgere e a far comprendere dall’interno. Un vuoto che si è addirittura accentuato in questi mesi. Sono infatti gli studenti di questi anni maledetti del Covid e quelli dei prossimi di faticosa ripresa che avrebbero più che mai bisogno del punto di riferimento costituito dal suo racconto e dal dialogo con lei. Sono i ragazzi smarriti e confinati a casa dei nostri giorni, quelli che stanno progressivamente perdendo l’abitudine alla vita di classe e al contatto umano dal vivo che avrebbero necessità della memoria consapevole, della comprensione partecipe e resistente che Nedelia sapeva trasmettere con le sue coinvolgenti narrazioni.
Più volte ho ospitato Nedelia nelle mie classi per approfondire con l’aiuto della sua esperienza e del suo giudizio l’analisi storica del regime fascista e del periodo dell’occupazione nazista. In particolare, torniamo all’anno scolastico 2014-2015. L’occasione è la posa della pietra d’inciampo in ricordo di Corrado Lolli, zio di Nedelia catturato e deportato dai tedeschi insieme a suo padre Enzo. I miei studenti della 3^ C del Liceo Classico Cavour sono i destinatari ideali della sua amara storia; hanno l’incarico di ripercorrerla e di restituirla sotto forma di ricostruzione-riflessione-spettacolo. Un modo molto intrigante di portare i giovani a rivivere le vicende dei deportati, escogitato dai promotori degli Stolpersteine torinesi (Museo Diffuso, Istituto Storico della Resistenza, Goethe Institut, Comunità ebraica). Il primo passo, dopo una fase di ricostruzione storica generale, è naturalmente la testimonianza di chi ha vissuto quegli eventi. Ecco che Nedelia entra in classe e col suo atteggiamento insieme colloquiale e affascinante conquista i miei ragazzi narrando il suo mondo quotidiano e normale di bambina improvvisamente, incomprensibilmente turbato dall’espulsione dalla scuola elementare, gettato qualche anno dopo davanti alla svolta imprevedibile di una emigrazione in Colombia non realizzata e trasformatasi angosciosamente nell’esigenza assoluta di un nascondiglio e nella divisione del nucleo familiare. Ma tutto questo non lo racconta in una dimensione solamente personale; accanto al vissuto individuale inserisce la documentazione diretta e oggettiva degli abissi di allora, mostrando agli studenti sempre più partecipi i giornali che porta con sé ad ogni incontro, gli articoli de La Stampa del 1938 che annunciavano a titoli di scatola le leggi razziali e poi quelli del dicembre 1943 che denunciavano lo status di “nemici” riservato allora agli ebrei: ciò che conta ai suoi occhi non è solo la spontanea solidarietà/immedesimazione con la sua condizione di allora, quanto piuttosto condurre i giovani alla comprensione storica della situazione generale, alla riflessione sull’antisemitismo e sul pregiudizio nei confronti della minoranza oppressa, alla maturazione di un senso di ribellione all’ingiustizia. Questa è la sua lucida linea di racconto e di interpretazione, anche quando la vicenda si fa più particolare e tormentata. Nedelia ripercorre i mesi trascorsi nascosta presso l’Istituto delle Corrigende di Torino, l’attesa ansiosa delle visite del padre che teneva i collegamenti della famiglia separata, il suo ritardo immotivato e poi la terribile spiegazione portatale dalla sorella maggiore: padre e zio erano stati catturati dai nazisti e deportati. Lo zio Corrado – quello zio gentile e dolce che anni prima le aveva insegnato a giocare a scacchi – era caduto in un tranello teso dai fascisti, e così anche suo padre, l’ingegnere Enzo che aveva accortamente trovato una sistemazione sicura per tutta la famiglia, era stato preso. Nedelia racconta in modo lineare, molto coinvolto ma asciutto e non lacrimoso; questo cattura i ragazzi, li invita a porre domande. Sono colpiti quando narra dei continui tentativi di sua madre – a guerra conclusa – di avere notizie del padre dai reduci che numerosi giungevano dalla Germania alla stazione di Torino. Ancora di più dal modo in cui ella cercava di nascondere all’anziana suocera il destino dei figli per evitarle un dolore lacerante: sino al punto di scrivere, imitando la grafia del marito, una falsa lettera di rassicurazione dalla Svizzera. È tutta un’epoca di attonita presa di coscienza quella che emerge dalle parole di Nedelia; è un mondo sconosciuto che si schiude ai loro occhi, stupiti e più maturi.
Questa visione presente e partecipe, questo sguardo tristemente consapevole eppure sereno e costruttivo che Nedelia portava nelle classi manca e mancherà enormemente a tanti ragazzi di oggi e di domani impegnati a formarsi una coscienza storica e civile.
David Sorani
(15 dicembre 2020)