Tutta Italia zona rossa,
l’ipotesi del governo

Si stanno delineando le scelte del governo per le prossime settimane, con l’intero paese che dovrebbe diventare zona rossa dal 24 dicembre al 3 gennaio – o forse fino al 6. Ne parlano approfonditamente Corriere e Repubblica, descrivendo le misure nel dettaglio. Nodo da sciogliere, se il lockdown rigido rimarrà valido per tutto il periodo, come voglio i ministri Franceschini e Speranza, o solo per cinque giorni (24, 25, 26, 31 dicembre e l’1 gennaio) come propone il presidente del Consiglio Conte (le misure applicate negli altri giorni sarebbero quelle meno dure della fascia arancione). L’obiettivo in ogni caso è contenere i contagi e fare in modo che il 7 gennaio il 75% dei ragazzi delle superiori possa tornare in classe. Rispetto al piano vaccini, il commissario straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri spiega al Corriere che la prima somministrazione potrebbe avvenire simbolicamente già a fine dicembre, ma si opererà in larga scala da metà gennaio. “Quanto alle priorità nella popolazione, si inizierà dagli 11 milioni di abitanti che hanno più di sessant’anni, a partire dai più anziani in giù”, afferma Arcuri. E promette: “Non perderemo neanche un minuto e non conserveremo una sola dose nei nostri magazzini. Sarebbe intollerabile”.

Processo Charlie Hebdo e Hyper Cacher. Il tribunale speciale per gli attentati terroristici del gennaio 2015 contro Charlie Hebdo e l’Hyper Cacher ha escluso l’accusa di terrorismo per 6 degli 11 imputati presenti in aula. I sei sono stati giudicati colpevoli di associazione per delinquere ma senza la qualifica di terrorista. Esclusione criticata dal Giornale, che parla di “condanne lievi per Charlie Hebdo” e aggiunge che “così ci fanno perdere la guerra dell’odio”. Il Fatto Quotidiano titola invece “Charlie Hebdo: 30 anni alla vedova nera del jihad”, sottolineando come alla compagna di Coulibaly, il terrorista della strage al market kosher, la condanna sia arrivata in contumacia visto che la donna è in fuga dai giorni dell’attentato. Si troverebbe in Siria.

Giustizia per Regeni in Europa. L’Italia sposta la partita dei casi Regeni e Zaki a Strasburgo, dove domani il parlamento Ue sarà chiamato a votare una mozione di condanna contro l’Egitto. L’iniziativa è stata proposta da deputati del Pd, dei Verdi e dei 5Stelle italiani, sottolinea Repubblica. Una mozione di censura voluta per evidenziare come “la situazione dei diritti umani in Egitto continua a peggiorare, e le autorità intensificano la repressione contro la società civile, contro i difensori dei diritti umani, giornalisti, membri dell’opposizione, professori e avvocati”. I casi Regeni e Zaki inoltre, racconta La Stampa, “verranno inseriti, su richiesta italiana, all’ordine del giorno della prossima riunione tra ministri degli Esteri dei Ventisette. Riunione che, manco a farlo apposta, si terrà il 25 gennaio, anniversario del rapimento di Giulio”. In quell’occasione l’Italia chiederà ai paesi membri una presa di posizione forte e comune. “E la parola ‘sanzioni’ non sarà più un tabù”.

A 10 anni dalle primavere arabe. Il 17 dicembre 2010, Mohammed Bouazizi, un venditore ambulante di Sidi Bouzid, in Tunisia, si diede fuoco per protestare contro le violenze subite dalla polizia e per la crisi economica che segnava il paese. Un gesto che generò una sollevazione popolare e portò il dittatore Ben Ali alla fuga. La protesta si estese poi a molte piazze arabe del Nord Africa e del Medio Oriente, venendo definita dai media come “primavera araba”. A dieci anni da quegli eventi, su La Stampa Domenico Quirico analizza cosa è rimasto, parlando eloquentemente di primavera sfiorita. “La ribellione fu spontanea, confusa, non fu preparata da nessuna forza sotterranea o clandestina. Ma quel disordine apparente celava un ordine che voleva nascere. E non riuscì. Dieci anni dopo, di dimissione in dimissione, una cosa sola i rivoluzionari hanno imparato: la loro radicale impotenza”.

La Costituzione di Orban. La Stampa racconta la nuova stretta sui diritti decisa dal governo ungherese di Viktor Orban. “In un sol colpo – riporta La Stampa – il parlamento ungherese ha approvato un pacchetto di leggi che limitano ulteriormente i diritti delle coppie gay, ristabiliscono i ‘valori cristiani’ su cui si fonda il Paese, diminuiscono il controllo sui fondi pubblici e modificano le leggi elettorali. Una vittoria per Orban e per la sua ‘democrazia illiberale’ fondata sulla famiglia tradizionale e su principi ultraconservatori”. Per David Vig, direttore Amnesty International Ungheria, “un giorno buio per i diritti umani, colpiti da leggi discriminatorie, omofobiche e transfobiche”. Intanto in Europa Fidesz, il partito di Orban, per il momento è salvo da possibili espulsioni dal PPE: il suo capodelegazione Tamás Deutsch è stato esautorato da quasi ogni potere, ma non cacciato, nonostante i malumori interni ai popolari. Deutsch, spiega il Corriere, aveva paragonato le parole dei capogruppo tedesco Manfred Weber a sostegno del meccanismo che lega fondi Ue e rispetto dello Stato di diritto agli slogan usati dai nazisti e dalla polizia comunista.

Daniel Reichel