Energia, motore
d’un mondo nuovo
Quest’estate il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è recato a Midland, nel Texas occidentale, per rassicurare i petrolieri locali. Con la consueta e abile teatralità, accerchiato da scintillanti barili di petrolio, ha garantito che con lui l’economia del petrolio e del gas del Texas sono al sicuro. Poi ha scandito le parole che molti suoi predecessori avrebbero voluto proferire: “Oggi gli Stati uniti d’America sono la superpotenza energetica numero uno al mondo” e “non dipenderà mai più da fornitori stranieri ostili”. Trump, la guida della prima potenza al mondo, nel corso della sua amministrazione si è proposto come l’uomo che avrebbe salvato il carbone e, dal palco di Midland, come il difensore del petrolio. Eppure dopo aver preso in mano e letto il nuovo libro di Valeria Termini, Energia.
La grande trasformazione (ed. Laterza) le parole del Presidente degli Stati Uniti suonano un po’ anacronistiche, legate a una fase della storia dell’energia mondiale che sembra appartenere a una fase in via di conclusione. Come recita il titolo del volume, siamo infatti in una “grande trasformazione”, con il passaggio dall’era del petrolio a quello delle fonti rinnovabili. “Per la terza volta nella storia, una rivoluzione energetica cambia il mondo. Incide sulla traiettoria della crescita, modifica l’organizzazione dell’industria e la vita quotidiana degli abitanti del pianeta, altera gli equilibri geopolitici: apre così una nuova fase del capitalismo del XXI secolo”, spiega Termini docente di “Economia e regolazione dei mercati dell’energia per uno sviluppo sostenibile” dell’Università Roma Tre e fino ad agosto 2018 Commissario dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) nell’introduzione del suo nuovo saggio, che ricostruisce in modo documentato e approfondito come siamo arrivati a questa terza fase, quali sono state gli snodi chiave che hanno visto l’avvento e poi il declino di alcune fonti primarie, come hanno inciso sull’organizzazione sociale e sugli equilibri del mondo, quale ruolo hanno avuto le decisioni dei leader della Terra e le spinte arrivate dal basso, dalla società civile. Un volume che, attraverso l’energia, parla di economia, di geopolitica, di storia e che, guardando al passato, aiuta a capire le grandi trasformazioni del nostro presente di cui forse non siamo ancora pienamente consapevoli. “Credo che la trasformazione energetica che stiamo attraversando sia molto più ampia e profonda di quanto non sia immaginato, capito e immaginabile in questo momento. Apre un vero e proprio passaggio a una nuova fase del capitalismo e questo mi ha profondamente colpito”, spiega a Pagine Ebraiche Termini, raccontando la genesi del suo ultimo lavoro. Nel libro si evidenzia come si è arrivati a questa nuova età del capitalismo, e come ciascuna di esse sia legata a una trasformazione delle fonti primarie di energia. “La prima e la più nota è la rivoluzione industriale con il carbone, che ha portato un enorme cambiamento economico e politico.
La seconda e meno scontata è il passaggio dal carbone al petrolio, che ha nuovamente rivoluzionato il mondo rendendolo, se vogliamo, più piccolo: i trasporti sono diventati molto più veloci, la distanza da una parte all’altra dell’oceano si è ridotta, si è aperto il periodo del consumo di massa, ma anche dei conflitti per lo sfruttamento delle risorse petrolifere”. Si è aperta l’era della globalizzazione nel segno dell’oro nero, diventato un bene insostituibile nelle economie nazionali. Ora però questa centralità del petrolio e dei combustibili fossili comincia sempre più a vacillare. E a dirlo sono gli stessi operatori del settore: nel suo rapporto World Energy Outlook, l’azienda petrolifera Bp, ad esempio, sostiene che la domanda di petrolio ha già raggiunto il picco e potrebbe presto ridursi bruscamente. Non solo, la pandemia ci ha dato una vera e propria anticipazione di questa previsione: a marzo, raccontava di recente l’Economist, “quando il pianeta ha smesso di girare, la sua sete di petrolio è improvvisamente crollata”, e gli Stati petroliferi si sono trovati con deficit giganteschi. “Durante la pandemia l’elettricità prodotta da fonti rinnovabili è l’unica che è cresciuta spiega Termini le fonti fossili no”. Un dato che racconta di un’evoluzione in corso, un trend che rappresenta bene la terza trasformazione illustrata dall’economista nel suo libro, quella delle fonti rinnovabili, e del perché le parole di Trump in Texas suonano un po’ superate dagli eventi: siamo già oltre il secolo del petrolio, solo che non tutti se ne sono già accorti. Il saggio di Termini spiega come siamo arrivati a questo punto, a quali costi e attraverso quali trasformazioni nei singoli paesi.
Un interrogativo che le poniamo è quanto nei cambiamenti incidano le decisioni dei leader della Terra, a maggior ragione in un mondo sempre più interconnesso. “Più che dai leader, molto dipende dalla governance istituzionale. Trump per esempio si è schierato a favore del petrolio del carbone e del gas e non delle rinnovabili. Negli Stati Uniti abbiamo però assistito a un paradosso: la trasformazione verso le rinnovabili era già in atto, avviata sotto Obama, e di conseguenza l’industria aveva già investito nel modificare la propria tecnologia. Sono pianificazioni di lungo periodo oramai irreversibili, anche se cambia la politica del presidente americano. In più, nonostante gli incentivi dell’amministrazione Trump, le due più grandi industrie di carbone degli Stati Uniti sono fallite”. Ovvero, nemmeno la guida della prima potenza del mondo può invertire la rotta della rivoluzione in corso. “Trump ha comunque lasciato il segno perché ha modificato o cancellato oltre 100 decisioni in materia di rinnovabili prese dal suo predecessore, ha tolto i fondi all’Environmental Protection Agency, ma anche lui non ha potuto modificare la traiettoria. Anche perché sia la società civile sia le amministrazioni locali si stanno già concentrando sulla trasformazione verso le rinnovabili”. Per il momento, sottolinea Termini, l’84% dell’energia proviene da combustibili fossili, l’11 da rinnovabili, ma “è il tasso di crescita di queste ultime che va tenuto presente, la sua rapidità ci fa pensare che nel giro di 2030 anni tutto sarà modificato”. Proprio la data del 2030 è stata identificata di recente da Israele come termine per un nuovo obiettivo di efficienza energetica. Il ministero dell’Energia israeliano ha infatti presentato a fine novembre un piano per ridurre le emissioni di CO2 del 7,5% entro il 2030. Un progetto volto a puntare sulle rinnovabili e diminuire allo stesso tempo, per quanto riguarda Israele, l’inquinamento ambientale. Secondo il ministro dell’Energia Yuval Steinitz, “la crisi climatica globale ci impone di cambiare radicalmente le nostre abitudini di vita, in particolare i modi in cui produciamo e consumiamo energia. Attraverso piani innovativi, non solo riduciamo l’aumento della domanda di energia, ma trasformiamo anche Israele in un hub di sviluppo e implementazione di tecnologie e metodi avanzati che permetteranno alle aziende israeliane di penetrare in nuovi mercati in tutto il mondo”. Israele inoltre, come ha più volte ribadito Termini, ha dalla sua la scoperta e lo sfruttamento di giacimenti di gas a largo delle sue coste. “Nella rivoluzione delle rinnovabili, il gas rimane. È infatti necessaria una risorsa che garantisca la continuità dei flussi elettrici soggetti alle intermittenze atmosferiche. – sottolineava l’economista – Il Mediterraneo è un bacino straordinario per il gas, che rappresenta anche un elemento importante di cooperazione. I gasdotti possono unire paesi diversi in un interesse comune, si veda la triangolazione tra Egitto, Israele e Giordania. È quella che definisco la Energy for peace, che permette di superare i contrasti storici dell’area”.
I nuovi accordi di Abramo, prosegue la docente, possono rappresentare un ulteriore volano per costruire legami energetici in Medio Oriente; scambi che consolidano i rapporti tra i paesi e aiutano concretamente a stabilizzare, pacificare e far cooperare l’intera area. “Prima ancora degli Accordi di Abramo- ha di recente spiegato il ministro Steinitz – Israele ha iniziato a esportare gas a Egitto e Giordania. Abbiamo creato l’EastMed gas forum con Egitto, Italia, Cipro Giordania, Grecia e Autorità palestinese. È la prima volta in cui Israele siede – ed è tra i fondatori – in un forum economico-energetico con paesi arabi ed europei. Anche la Francia ha chiesto di farne parte. È un ombrello che ambiamo a estendere a tutto il Mediterraneo”. Energia per creare dialogo, energia per costruire ponti. E la terza grande trasformazione del nostro mondo, raccontata nel volume di Termini, potrebbe avere dunque, se indirizzata sui giusti binari, proprio il volto della collaborazione tra stati e della pace.
Daniel Reichel