Il destino delle collezioni

Leggendo il domenicale del Sole 24 Ore mi ha colpito l’articolo che riguarda la vendita da Sotheby’s New York della collezione di Judaica della famiglia Sassoon.
Mi sono chiesto come mai una famiglia così importante disperdeva una collezione bicentenaria, anziché donarla ad un’istituzione museale. Poi ho realizzato che non si fanno i conti in tasca agli altri.
Ho voluto approfondire visitando il sito relativo all’asta e qui la sorpresa è stata maggiore. Come sempre la vendita non riguardava solo la famiglia di Bagdad che ha fatto fortuna in India.
Incredibilmente i Rimmonim più belli provengono dalla collezione di The United Synagogue, un’istituzione fondata nel 1870 con un atto del Parlamento della Gran Bretagna e affidata alla presidenza di Anthony de Rothschild, che metteva insieme il patrimonio delle più importanti sinagoghe londinesi dell’epoca.
Bel modo di festeggiare i 150 anni della fondazione, a meno che la necessità primaria sia aiutare i bisognosi della comunità.
Quando nel 2015 il sindaco di Venezia per risanare il bilancio comunale voleva vendere la Giuditta di Klimt il mondo della cultura si è ribellato, e la vendita non si è fatta, forse perdendo una grande occasione.
Il tema che si apre è un altro. I musei che fanno capo ad istituzioni pubbliche o assimilabili, difficilmente hanno i fondi per comperare le opere. Normalmente il patrimonio si forma attraverso successive donazioni di privati, che avrebbero tramandato i loro beni agli eredi se avessero saputo che i loro beni sarebbero stati commercializzati in seguito.
Diverso il caso delle Fondazioni private che hanno la missione di migliorare le loro collezioni e sono libere di vendere le opere comprate nel passato per cogliere nuove occasioni di qualità superiore.
Tornando alle collezioni di Judaica mi sono confrontato con uno dei principali mercanti internazionali il quale ha sintetizzato l’analisi, dicendo che i più importanti collezionisti mondiali sono morti e non sono stati sostituiti da nuovi e gli eredi hanno un unico interesse: vendere.

Vittorio Ravà