Periscopio
Giulio e gli altri

Condivido pienamente lo sforzo fatto dal governo italiano per avere verità e giustizia riguardo alla tragica fine di Giulio Regeni, così come mi sento umanamente vicino ai genitori del coraggioso ricercatore, andato incontro a un così ingiusto e crudele destino. È assolutamente doveroso che l’Italia pretenda dall’Egitto la massima collaborazione per la celebrazione di un giusto processo, che porti – ovviamente, con tutte le dovute garanzie – a fare luce sulla torbida vicenda, e ad infliggere ai responsabili – qualora individuati con certezza – la dovuta pena. Certo, lo svolgimento di due processi paralleli – uno in Egitto, uno in Italia – è un fatto decisamente anomalo, ed è evidente che nessun Paese al mondo permetterebbe che dei suoi cittadini, per un reato consumato in patria, venissero consegnati a un Paese straniero, in ragione della cittadinanza della vittima. L’Italia forse lo farebbe? Non scherziamo. È evidente che il processo italiano ha un valore prevalentemente simbolico, come strumento di pressione verso il sistema politico e giudiziario egiziano. Comunque, la mia solidarietà è assoluta: Giulio Regeni e la sua famiglia meritano giustizia, una giustizia vera e piena.
Non rappresentano un alcun modo delle riserve rispetto a tale solidarietà, perciò, due domande che, però, mi sento di sollevare.
La prima è questa. Le vittime italiane meritano più giustizia di quelle di altri Paesi? A questa domanda si possono dare due sole risposte, ‘sì’ o ‘no’. Per chi, come me, opta per il ‘no’, ci sarebbe il caso di chiedersi come mai, quando, in passato, dei cittadini italiani sono stati accusati per dei gravi reati di sangue compiuti all’estero, tutta l’opinione pubblica, tutti gli organi d’informazione e tutte le forze politiche, senza alcuna eccezione, si sono unanimemente sollevati a difesa dei nostri connazionali, elevati automaticamente a livello non solo di innocenti, ma anche di eroi, per il solo fatto di essere italiani. Forse le vite, per esempio, degli americani, o degli indiani, valgono di meno? O forse gli italiani possono essere giudicati solo da tribunali italiani, solo per i delitti commessi in patria, e solo quando le vittime siano anch’esse italiane?
E questa è la seconda. Quando cittadini di un Paese estero o membri di un’organizzazione straniera colpiscono dei nostri connazionali, dobbiamo protestare sempre, o distinguendo a seconda del colore politico e della pericolosità degli stati o dei gruppi a cui appartengono i responsabili? Forse conviene alzare la voce nei confronti di Paesi più o meno innocui, e lasciar correre quando si tratti invece di soggetti meno trattabili? Anche a questa domanda si può rispondere ‘sì’ o ‘no’. E chi, come me, opta per il ‘no’, non può non ricordare il vergognoso comportamento dell’Italia nei confronti, per esempio, delle vittime italiane delle due stragi di Fiumicino (delle quali, proprio in questi giorni, cadono gli anniversari: 17 dicembre 1973 e 27 dicembre 1985, rispettivamente 32 e 14 morti, oltre a molte decine di feriti, alcuni dei quali gravissimi). In nome del famigerato “lodo Moro”, che assicurava impunità ai terroristi palestinesi, in cambio non si sa bene di cosa, il nostro Paese non mosse un dito per chiedere verità e giustizia per quelle vittime innocenti, non chiese mai che i responsabili venissero processati nel nostro Paese, e non si mostrò minimamente turbata nel vederli, dopo qualche breve periodo di finto carcere, tornare allegramente uccel di bosco.
Quelle vittime – alcune delle quali, ripetiamo, italiane, italianissime – non solo non hanno mai ottenuto verità e giustizia – come forse, purtroppo, non otterrà mai Giulio Regeni -, ma le loro famiglie non hanno mai avuto neanche la magra consolazione di avvertire intorno a loro un po’ di solidarietà e di sostegno, di sentire la vicinanza delle istituzioni e dell’opinione pubblica. E lo stesso si può dire per l’uccisione del cittadino italiano, di anni due, Stefano Taché, o per il dirottamento dell’Achille Lauro (in occasione del quale, anzi, il nostro Paese fece la faccia feroce non già per consegnare gli assassini alla giustizia, ma esattamente per il contrario, ossia per assicurare loro la più assoluta impunità). La Realpolitik imponeva silenzio, passività e complicità, e così fu.
Non è il massimo di dignità fare la voce grossa contro un Paese dal quale, pur con tutti i suoi grandi difetti, non ci sono da attendersi come rappresaglia bombe e attacchi terroristici, e starsene buoni al cospetto dei professionisti del terrore, concludendo con loro accordi scellerati, assolutamente illegali e incostituzionali, come ebbe pubblicamente a denunciare, con un atto di accusa tanto terribile quanto inascoltato, l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Non vorrei che queste mie parole venissero interpretate come un invito a lasciar correre per il caso Regeni, perché è esattamente il contrario. Verità e giustizia per Giulio, così come per tutte le vittime innocenti della violenza – sia essa di stato o puramente criminale -, italiane e non.

Francesco Lucrezi

(23 dicembre 2020)