Setirot – Nostre responsabilità
 In questo periodo, sui social, sbettego (scusate il “venezianismo”) parecchio, un po’ troppo forse, con amici che passano il loro tempo a criticare e delegittimare qualsiasi presa di posizione del governo e/o del CTS e/o degli scienziati in fatto di lotta alla pandemia. Non aprirò certo qui l’ennesima diatriba, ci mancherebbe: ciascuno pensi ciò che vuole, e ognuno tragga le conclusioni che preferisce sul pensiero altrui. Io sono più in pace con la mia coscienza – ed è ciò che per me conta maggiormente – se di fronte a fenomeni-disastri epocali mi sforzo di non lamentarmi e basta, di non dare la colpa a nessuno se non, al massimo, al mondo che tutti insieme abbiamo fallacemente costruito. Facile prendersela con il re e con la sua corte riversandovi ogni responsabilità. “Lui”, “loro”, mai “noi”. Eppure, tanto per dire, il Libro di Ekhà, le Lamentazioni, ci insegnano l’esatto contrario: a usare la prima persona plurale per parlare delle nostre responsabilità nella stessa misura in cui la si usa per enumerare le nostre sventure.
In questo periodo, sui social, sbettego (scusate il “venezianismo”) parecchio, un po’ troppo forse, con amici che passano il loro tempo a criticare e delegittimare qualsiasi presa di posizione del governo e/o del CTS e/o degli scienziati in fatto di lotta alla pandemia. Non aprirò certo qui l’ennesima diatriba, ci mancherebbe: ciascuno pensi ciò che vuole, e ognuno tragga le conclusioni che preferisce sul pensiero altrui. Io sono più in pace con la mia coscienza – ed è ciò che per me conta maggiormente – se di fronte a fenomeni-disastri epocali mi sforzo di non lamentarmi e basta, di non dare la colpa a nessuno se non, al massimo, al mondo che tutti insieme abbiamo fallacemente costruito. Facile prendersela con il re e con la sua corte riversandovi ogni responsabilità. “Lui”, “loro”, mai “noi”. Eppure, tanto per dire, il Libro di Ekhà, le Lamentazioni, ci insegnano l’esatto contrario: a usare la prima persona plurale per parlare delle nostre responsabilità nella stessa misura in cui la si usa per enumerare le nostre sventure.
Stefano Jesurum