Spuntino – Etichetta diplomatica

Nella parashà di VaYigash Giuda si appella così all’allora vicerè d’Egitto (Gen. 44:18) che, a posteriori, si rivela essere suo fratello Giuseppe: “ecco, mio signore, il tuo servo vorrebbe parlarti di una questione che tu possa interiorizzare senza irritarti poiché sei alla pari col faraone.” Da questo versetto s’impara come bisognerebbe rivolgersi ad un re o ad una figura influente: cercando di scegliere le parole giuste, articolandole con maniera, affinché queste possano essere accolte con favore. Lo stesso principio è applicabile alle preghiere rivolte a D-o. Nella Ghemarà c’è scritto (TB Berakhot 32b): “dal giorno in cui è stato distrutto il Bet HaMikdash i cancelli della preghiera sono stati chiusi”. Ma allora a cosa serve pregare? La Ghemarà prosegue: “i cancelli del pianto non sono stati chiusi, come è scritto ‘non essere sordo nei confronti della mia lacrima’ (Salmi 38:13)”. Secondo il Ramak (Rabbì Moshe Cordovero) affinché D-o schiuda i Suoi cancelli e la tefillà possa essere accolta bisogna esprimere una richiesta (preghiera!) preliminare. Questa richiesta si appoggia al principio di “al ta’azvenu ve-al titteshenu” (= non ci lasciare e non ci abbandonare) che ritroviamo nelle selichòt. Per rafforzarla ci si appella ai meriti dei tre patriarchi e così fa anche Giuda, in maniera cifrata, quando parla con Giuseppe: “VaYigash elav” (= gli si rivolse). Infatti le lettere alef-lamed-yod-vav di “elav” sono le iniziali dei nomi Abramo, Isacco e Giacobbe. C’è poi anche una lamed che è la lettera più alta dell’alfabeto e rappresenta la “merkavà” (= carrozza) di David HaMelekh, la “malkhùt” (= regalità). Il valore numerico della lamed è trenta e secondo la Mishnà (Avot 6:6) la regalità si acquisisce attraverso trenta livelli (“ma’alòt”). A tutto questo si collega il verso che pronunciamo prima di recitare la ‘amidà: “mio Signore schiudi le mie labbra e la mia bocca reciterà il Tuo encomio” ed anche il fatto che la prima delle benedizioni della ‘amidà è proprio quella dedicata ai tre patriarchi.

Raphael Barki