L’Europa in Yiddish

Poche settimane fa la Fondazione CDEC ha pubblicato il numero 17 della rivista online “Quest. Issues in Jewish Contemporary History”. Si tratta di un numero monografico dedicato all’idea di Europa vista attraverso gli occhi di quel vasto mondo culturale che si esprimeva in lingua yiddish. La curatrice Marion Aptroot ricorda nella sua introduzione che all’epoca circa 11 milioni di persone parlavano, scrivevano, pensavano e sognavano in quella lingua. Non molti, se si paragonano ai numeri di chi si esprimeva in inglese, francese, tedesco, spagnolo o italiano, ma comunque un numero maggiore di tutti coloro che all’epoca utilizzavano le lingue scandinave nel loro complesso. Parliamo quindi di una realtà culturale importante, sterminata fisicamente prima che l’idea di costruzione politica di uno spazio europeo potesse concretizzarsi. Tuttavia è una realtà con cui l’Europa di oggi non può non fare i conti. È questa necessità che ha spinto gli autori dei saggi pubblicati su “Quest” a ricercare – da diverse angolazioni – le tracce delle rappresentazioni che dell’Europa si facevano le multiformi figure che animavano la cultura yiddish nella prima metà del Novecento, con incursioni anche nel secolo precedente. Gennady Estraikh ad esempio illustra la straordinaria vitalità culturale degli oltre quattromila partecipanti provenienti da ventitrè paesi che si radunarono a Vilna (oggi Vilnius, ma allora era Vilna, in yiddish, la lingua che parlava la stragrande maggioranza della sua popolazione) nel 1937 per tentare di istituire un’associazione culturale yiddish mondiale che avrebbe dovuto aver sede a Parigi. Daria Vakhrushova si occupa invece delle nuove riviste culturali in lingua yiddish sorte in Polonia negli anni ‘20 e immerse nel dibattito europeo che sulla scia del futurismo (contestandolo) si interrogava sulle nuove forme di espressione che la realtà contemporanea produceva nelle espressioni artistiche. Una ricchezza e multiformità di sguardi che impressiona, in special modo per la vastità del pubblico coinvolto e per la generale giovane età dei protagonisti di questi nuovi movimenti culturali. Altri articoli si dedicano a diversi, a volte sorprendenti ambiti culturali fondati sulla lingua yiddish e le sue espressioni. Ma alla base del numero della rivista – che apre a mio giudizio uno sguardo storico e culturale nuovo su una realtà solo parzialmente nota al pubblico italiano – vi è senza dubbio il tentativo di David E. Fishman di proporre una definizione di cultura moderna che si possa adattare alla multiforme realtà offerta dal mondo yiddish all’Europa fra Otto e Novecento.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC

(25 dicembre 2020)