L’ora più buia

Si dice che l’ora più buia sia quella che precede l’alba, ma se davvero precedesse l’alba non sarebbe realmente l’ora più buia. Quella che viene ricordata come l’ora più buia della seconda guerra mondiale (il giugno 1940) non fu affatto quella in cui accaddero le cose più terribili, piuttosto fu quella in cui si gettarono le premesse perché accadessero senza che si vedesse neppure in lontananza la possibilità di una conclusione che non fosse la vittoria del nazismo. Allo stesso modo il 10 di Tevet, che ricorda l’inizio dell’assedio di Gerusalemme da parte dei Babilonesi, rappresenta l’ora più buia non perché richiami il momento più terribile delle sofferenze del popolo ebraico ma perché segna l’inizio della fine, il momento buio in cui si gettano le premesse per altri momenti ancora più bui. Il 17 di Tamuz (la breccia nelle mura) e il 9 di Av (la distruzione del Tempio) ricordano disgrazie in sé più gravi più ma rappresentano anche (soprattutto il 9 di Av) l’inizio della consolazione. È vero che, proprio perché capita nei giorni più scuri dell’anno, il 10 di Tevet è anche il digiuno più breve, ed è altrettanto vero che arriva nel momento in cui le giornate iniziano ad allungarsi, ma il suo significato storico smentisce queste consolazioni simboliche così come l’ora più buia ricordata nella storia smentisce clamorosamente il detto comune.
La scelta di ricordare i deportati proprio il 10 di Tevet, nel’ora più buia che anticipa altre ore più buie, e non il 17 di Tamuz o il 9 di Av appare opposta a quella di chi ha fissato il Giorno della Memoria il 27 gennaio, che ricorda la liberazione di Auschwitz. In realtà, al di là delle apparenze, il senso delle due ricorrenze è ben diverso; il 27 gennaio ha principalmente uno scopo educativo, didattico: ricordare perché non accada più, con la speranza che davvero possa non accadere mai più. Il 10 di Tevet si ricordano persone scomparse che non sono più tornate all’affetto dei loro cari, che non hanno più potuto contribuire alla vita delle loro comunità, che hanno cessato di trasmettere (per lo meno direttamente) i loro insegnamenti alle generazioni successive. Forse chi ha stabilito questa data ha voluto metterci in guardia da corse troppo frettolose verso la consolazione che potrebbero in qualche modo sminuire il valore delle persone scomparse e di conseguenza sottovalutare la gravità e l’irreparabilità della loro perdita. Perché la corsa verso la luce non ci faccia dimenticare il buio.

Anna Segre

(25 dicembre 2020)