“Il vaccino svolta storica,
il Paese ora ritrovi l’unità”

“Mi è spesso capitato di riflettere sui valori che permeano l’esperienza, la storia e l’identità ebraica. Sull’impegno e sul senso di responsabilità che ci vengono richiesti nei confronti del prossimo. Un tema assai attuale per chi svolge la professione medica”.
Direttore dell’Unità Operativa di Pneumologia dell’Ospedale San Giuseppe MultiMedica di Milano e professore di Medicina Interna alla Statale, Sergio Harari è stato tra i primi in Italia a ricevere il vaccino. Una giornata che, assicura, resterà indelebile nella sua mente.
“E ancora difficile razionalizzare quel che ci è successo nell’anno che va concludendosi. Le emozioni sono state e continuano a essere molteplici”, confessa a Pagine Ebraiche. “Una forte commozione, innanzitutto, per l’alto senso della professione che ho visto davvero ad ogni livello del sistema sanitario. È poi subentrata una certa stanchezza. Quindi delusione e rabbia per alcune mancanze, a livello politico, su questa seconda ondata: un problema purtroppo sottovalutato”.
L’opinione di Harari è che, anche in ragione dell’esperienza maturata in primavera, “avremmo dovuto essere molto meglio organizzati”. E quindi che “certi ritardi, ad esempio sulla scuola, potessero essere evitati”. A pesare negativamente anche “alcune manifestazioni di individualismo, le ripetute e sterili polemiche senza sbocco”. Oltre a una “diffusa forma di assuefazione al virus e alla terribile contabilità dei morti”.
L’invito è a guardare in faccia la realtà. “Tutti ci aspettiamo l’onda lunga di questo secondo flusso, è inevitabile”, spiega Harari. Il vaccino segna però una svolta storica. “Per la prima volta – osserva – passiamo da un ruolo passivo ad attivo. Se fino a pochi giorni fa abbiamo giocato una battaglia di rimessa, adottando strategie di contenimento in occasione di criticità ma senza a monte una strategia ben definita, adesso cambia tutto”.
Harari suggerisce comunque calma: per uscirne ci vorranno tempo e pazienza. Il vaccino sarà il veicolo, ma da solo non basterà. “È essenziale – conclude – che si recuperi l’iniziale senso di comunità e responsabilità nazionale che per tutti noi, medici e operatori del settore, è stato un formidabile sostegno. Lo abbiamo visto soprattutto nella prima fase. Mentre in questa seconda si è purtroppo un po’ sfibrato”.

(29 dicembre 2020)